IL VANGELO SECONDO GIUDA

Testo inedito di Giuseppe Fava, adattamento e regia di Claudio Fava. Con David Coco, Maurizio Marchetti, Antonio Alveario, Manuela Ventura, Liborio Natali, Alessandro Romano, e Matteo Ciccioli. Scene e costumi Riccardo Cappello, Luci e video Gaetano La Mela.

Produzione Teatro Stabile di Catania

Quante cose sorprendenti può fare il teatro! Quanti miracoli! Anche diventare nuovo miracolo, la sacra rappresentazione che nel Medioevo portava in scena passi della vita di Gesù e dei santi.

In prima nazionale assoluta, alla Sala Verga del Teatro Stabile di Catania, nella sera del 20 febbraio è andata in scena una sacra rappresentazione laica e moderna: Il vangelo secondo Giuda, che fu scritto da Giuseppe Fava quaranta anni fa, ed è stato riletto con la regia di Claudio Fava che, con molto rispetto, si è confrontato col testo del padre.

Il vangelo secondo Giuda -ripreso e riscritto da Fava- è uno dei vangeli apocrifi, cioè una delle testimonianze più vive del cristianesimo primitivo, anche se i Padri della Chiesa li considerarono spuri e falsi. In realtà la letteratura popolare di tutti i tempi ha trovato tra questi testi molte delle sue pagine migliori. L’arte figurativa cristiana, l’agiografia, la novellistica medievale hanno largamente attinto a questi racconti intrecciando una sorta di religiosità “sotterranea” traboccante di bisogni umani e di speranze che si riversa nella commovente bellezza dell’arte.

Volendo omaggiare questa tradizione e ripercorrere tale strada, Giuseppe Fava ha scelto la versione di Giuda per riflettere in una chiave attuale sulla Buona Novella, scegliendo il punto di vista del più bistrattato dei seguaci, il traditore, l’infame, Giuda.

Quest’anno, nel centenario dalla nascita del grande giornalista catanese assassinato dalla mafia, davanti a quello stesso teatro che oggi (e sempre) lo ricorda, nel 1984, il Vangelo secondo Giuda, rimasto inedito, è stato portato in scena con l’intenzione di sottolineare il profondo messaggio di umanità legato all’interpretazione moderna.

La Buona Novella è ambientata a Catania, in una città popolare, misera e bisognosa di riscatto. Giuda è un “poeta”, emarginato, alienato che cerca di sopravvivere ogni giorno e fare sopravvivere la sua famiglia, la moglie Elisa, che lo ama ma è stanca della miseria e della fatica di ogni giorno. E’ un sognatore, e si lega, per caso, al gruppo dei pochi seguaci di un maestro che promette la rivoluzione. Sono Giovanni, Matteo, Pietro, Tommaso che gli presentano l’uomo venuto a portare giustizia, pace, fratellanza. In una cornice grottesca e surreale, nella periferia coi palazzoni di cemento e i sobborghi malfrequentati, si svolge la trama di un racconto noto, quindi riconoscibile, ma rivisitato.

Giuda è il seguace che tradisce Gesù e da sempre è condannato, giù nella Giudecca dove lo colloca Dante, e nelle bestemmie dell’immaginario comune. Il Giuda di Fava è un uomo debole, stanco di portare il peso della colpa e, in un salto anacronistico ma verisimile, è uno di noi, un cittadino della “Milano del Sud” dove si è trasferito da un paese di montagna, per trovare una strada, la sua strada. Si invaghisce di una prostituta, bella, avvenente, Maddalena, e per lei cerca i soldi, i trenta danari necessari per pagarla.

Dall’incontro col Maestro, un Gesù in salopette, apprenderà nuovi messaggi di vita, riconoscerà il bene dal male.

Le note di regia ci avvisano: “ Un vangelo blasfemo? Niente affatto: un vangelo nostro, concreto e insieme grottesco, il racconto di vite fallaci, di amori assoluti, di tradimenti e di ribellioni, di equivoci, paradossi, verità sempre imperfette”.

Pur nel linguaggio forte, a tratti scurrile, pur nella caratterizzazione dei personaggi -Gesù in salopette, Pietro un po’ clochard, Tommaso gobbo dal ghigno sarcastico…- la narrazione di Fava ci fa entrare nel mondo borderline di Giuda. Ci fa sentire in mezzo a loro, o, forse sono loro in mezzo a noi.

La chiave della regia di Fava, Claudio, è parsa come voler sottolineare l’apparente contrasto tra lo scavo psicologico sul protagonista e una cornice trasgressiva nella costruzione scenica. Pochi elementi di scena ( di Riccardo Cappello), una complessiva drammaturgia straniante, che ricorre a segmenti musicali da discomusic, i movimenti dinamici dei personaggi sul palco che conducono il filo della narrazione. Il contrasto sembra creare un iniziale smarrimento che, lentamente, si attenua quando il personaggio-Giuda si confessa, e coinvolge lo spettatore.

Il perno della rappresentazione è David Coco, che ha dimostrato, ancora una volta, una collaudata intesa col regista e ha interpretato questo Giuda umano, con delicatezza e un pizzico di ironia. L’unica donna in scena, Manuela Ventura, veste i panni della moglie amorevole e seria, Elisa, e di Maddalena, conturbante ma turbata dalle lusinghe di Giuda e poi delusa dalle scelte di questo. Riesce a passare in pochi secondi dalla compostezza della prima figura femminile al fascino della perdizione della donna simbolo, nella cultura cristiana, della femminilità che viene redenta.

Insieme a loro cinque attori in perfetta armonia, maschere moderne che incarnano ruoli antichi, valorizzando il senso di un testo carico di battute universali dense di spunti di riflessione ed esame, che, proprio come il messaggio evangelico, veicola storie di miracoli per farsi allegoria dell’umanita.

Inscena alla sala Futura fino al 23 febbraio.

 

 

 

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