“Attendere e sperare”. Il conte di Montecristo: una storia eterna di vendetta

“Attendere e sperare”. Il conte di Montecristo: una storia eterna di vendetta

La saggezza umana è racchiusa in queste due parole:

attendere e sperare.

Alexandre Dumas, “Il conte di Montecristo”

Le vetrine delle librerie italiane espongono in queste ultime settimane e in molteplici edizioni un classico della letteratura ottocentesca: “Il conte di Montecristo”. Il motivo è presto detto. In televisione e al cinema sono apparse quasi contemporaneamente due versioni del romanzo. La TV ha trasmesso una miniserie franco-italiana diretta da Bille August e scritta da Greg Latter e Sandro Petraglia con Sam Claflin protagonista. Mentre al cinema è uscito “Le Comte de Monte-Cristo”, film francese scritto e diretto da Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte con Pierre Niney nella parte di Edmond Dantès. Come spiegarne il successo? Ripercorriamo il romanzo e i suoi intrecci coi prodotti visivi per cercare di capire. Napoleone Bonaparte, sconfitto a Waterloo, è in esilio sull’isola d’Elba. I seguaci sognano il suo ritorno, ma il regime monarchico realista li perseguita senza tregua. Arresti ed esecuzioni si moltiplicano, il clima sembra anticipare una guerra civile. Bonaparte, affidandosi a coloro che gli erano ancora fedeli, trama e organizza il suo ritorno inviando lettere. È attraverso una di queste che il destino di un giovane e ignaro marinaio di Marsiglia si intreccia fatalmente con le insidie politiche dell’epoca. Il 24 febbraio 1815 ha inizio la storia di Edmond Dantès, ingiustamente accusato di essere un bonapartista appena dopo aver toccato il cielo con un dito per la promozione a capitano e colmo d’amore per la bella Mercedes. È in questo clima storico che Alexandre Dumas (padre) sceglie di ambientare “Il Conte di Montecristo”, una vicenda di ingiustizia e vendetta, ma anche di amore e speranza. Come lo scrittore stesso dichiarò la triste storia di Edmond Dantès era stata ispirata da ciò che era accaduto a suo padre, il generale bonapartista Thomas Alexandre Davy de la Pailleterie, che era riuscito a migliorare la sua posizione sociale, ma che in seguito fu imprigionato nel Castello aragonese di Taranto dal 1799 al 1801. Allo stesso modo questa sorprendente storia sembra ispirarsi alla vita di Pierre Picaud, giovane calzolaio e promesso sposo di una fanciulla facoltosa, arrestato in circostanze misteriose che, tornato dalla prigionia, commise atti terribili e spietati contro tutti coloro che lo avevano ingannato e tradito. Al di là di questi riferimenti è certo che Dumas tenta di raffigurare le sfaccettature dell’uomo francese dell’epoca nei vari protagonisti de “Il conte di Montecristo”. Quelli buoni ed eroici, vicini al suo tipo di lettore, sono tutti pervasi da ideali democratici tipici del partito bonapartista francese. Tra costoro vi è sicuramente il vecchio Morrel, ma anche lo stesso Edmond Dantès che, in cerca di riscatto, diventa difensore dei diritti dell’individuo. Al contrario i personaggi più crudeli, i traditori del giovane marinaio, sono sostenitori e potenti esponenti del partito antidemocratico e realista. Fernand de Morcerf, divenuto marito dell’amata Mercedes, e il procuratore Villefort spiccano tra questi. Il primo rappresenta la figura del militare abile e astuto, capace di compiere atti tremendi pur di ottenere un vantaggio personale. Il secondo è una sorta di angelo della morte che, con l’obiettivo di difendere la propria posizione, uccide e condanna senza scrupoli. Il terzo nemico è Danglars, membro dell’equipaggio ostile a Dantès, che di lui dice: “è spietato, ne è consapevole e per lui è un vanto”. Tali caratteristiche, miste all’invidia, alla pericolosa ambizione e all’avidità lo rendono il simbolo di tutti quei capitalisti dell’epoca il cui unico obiettivo era quello di arricchirsi senza farsi scrupoli. La visione della società francese dell’epoca descritta nel romanzo, oltre che nei vari adattamenti cine-televisivi, è perfettamente riassumibile nelle parole pronunciate dal protagonista: “Il mondo è dunque popolato di tigri e coccodrilli? Sì, solo che le tigri e i coccodrilli a due gambe sono più pericolosi.” Sono dunque tre gli uomini che segnano la rovina di Dantès, facendolo confinare nel temibile castello d’If. “In quei frangenti Dantès si aggrappava a un’idea, a quella della felicità distrutta senza motivo apparente da una fatalità inusitata. Su tale idea si accaniva, la voltava e la rivoltava in tutte le sfaccettature, e la divorava per così dire a piene ganasce come nell’Inferno di Dante lo spietato Ugolino divora il cranio dell’arcivescovo Ruggeri.” Il lettore soffre con Dantès, come lui perde la cognizione del tempo, l’identità e la speranza. E con lui rinasce nel momento più oscuro della sua vita, dopo anni di prigione, grazie a un incontro inaspettato. In un giorno uguale agli altri Edmond incontra l’abate Faria, un uomo colto e misterioso che diverrà il suo maestro e che gli aprirà la strada per la fuga. È Faria a rivelargli la storia del tesoro dei templari custodito sull’isola di Montecristo. Fuggito dal Castello Dantès si sente guidato dal destino: “Dio è per me, Dio è con me”. Egli utilizza questi pensieri per trasformare la sua sete di vendetta in bisogno di giustizia, per aiutare coloro che non lo avevano mai abbandonato e che per questo avevano sofferto, per punire i tre malvagi che lo avevano strappato alla vita. Edmond, guidato da rabbia, conoscenza e vendetta, si trasforma da giovane giusto e affidabile nel “braccio armato della sorda e cieca fatalità”, rinuncia alla sua identità e diventa l’intrigante e spietato conte di Montecristo, il braccio della Provvidenza. Quella di Montecristo per la vendetta è un’ossessione a cui non può porre fine, poiché essa è l’unica cosa che lo spinge ancora a vivere. Egli del resto è ormai incapace di amare, Mercedes appartiene al suo rivale, il suo corpo e la sua mente sono nutriti dall’odio e ogni traccia della vecchia ingenuità è ormai andata perduta. Edmond è tutto ciò che Renzo (ne “I Promessi Sposi”) sarebbe diventato se avesse scelto di cercare uno scopo nella vendetta, così come la Provvidenza dumasiana e tutt’altro da quella manzoniana. Il protagonista non ha più nulla che lo motivi alla vita, se non la vendetta. Tuttavia il lettore non può condannare Edmond, poiché egli non è che il Conte, poiché del giovane marinaio non c’è più traccia e l’unica parte dell’animo di Dantès che ancora si riflette in Montecristo è l’affetto che prova per la giovane Haidee, in cui si rispecchia l’amore per Mercedes. Non a caso l’unica persona a cui concede il perdono è lei, che lo aveva riconosciuto, pur travisato da maschere: “al solo suono della suo voce” e “osservando quegli occhi che avevano sofferto tanto”. L’unica che non aveva mai smesso di amarlo. È per il suo amore che il Conte decide di non uccidere in duello il figlio di lei, Albert. Mercedes lo spinge a ritornare Edmond Dantès, l’uomo giusto e generoso che aveva sempre amato. È l’amore (per Haidee nel libro, dove emerge una versione più spietata del Conte, per Mercedes nel film) che lo condurrà alla redenzione, alla fine del viaggio di vendetta.“ Ah, Mercedes! Il vostro nome l’ho pronunciato con i sospiri della malinconia, con i gemiti del dolore, con la rabbia della disperazione; l’ho pronunciato gelido per il freddo, rattrappito sulla paglia della mia prigione; l’ho pronunciato divorato dal caldo; l’ho pronunciato rotolandomi sul pavimento del mio carcere. Mercedes, bisogna che mi vendichi perché ho sofferto per quattordici anni, ho pianto, ho maledetto. Ve lo ripeto Mercedes, bisogna che mi vendichi!” E il conte di Montecristo, temendo di cedere alle lacrime di colei che aveva amato tanto, chiama in aiuto del suo odio il passato. La storia di Edmond Dantès iniziata per mare, sul mare si conclude. L’acqua per Dantès è prima guadagno, poi rovina, infine salvezza. Del resto, alla fine del viaggio, solo il Mediterraneo poteva accogliere un uomo come lui, colmo di dubbi, distrutto dalla vendetta e dal dolore, ma che desiderava in cuor suo la libertà confidando nell’attesa e nella speranza. Alexandre Dumas con il suo romanzo non ha solo esplorato luoghi esotici e misteriosi, ma è entrato anche negli antri più profondi e complessi dell’anima, svelandone i segreti attraverso personaggi intriganti, ma allo stesso tempo incredibilmente umani, tanto da lasciare un segno indelebile nella cultura letteraria dell’Occidente. Uno tra gli innumerevoli esempi si può trovare ne “Le avventure di Huckleberry Fin” di Mark Twain, in cui il giovane protagonista desidera raggiungere l’ingegno e la manualità di Edmond Dantès e dell’abate Faria. In tempi più recenti, oltre ai numerosi adattamenti televisivi e cinematografici, la figura del Conte di Montecristo è stata ripresa nel sorprendente graphic novel “V for Vendetta” di Alan Moore e David Lloyd. Il film di James McTaigue ad esso ispirato, e riferito a tutti coloro che sono consumanti dall’incessante bisogno di vendetta, si conclude con queste parole: “Era Edmond Dantès. Ed era mio padre e mia madre, mio fratello, un mio amico, era Lei, ero io, era tutti noi”.

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