«Crescere significa imparare a dire addio». “Morsi” di Marco Peano

Scrivere una recensione di Morsi di Marco Peano è un’operazione non facile perché ci troviamo di fronte a uno di quei libri di cui si può svelare davvero poco, lasciando il più possibile ai lettori il piacere di scoprire, pagina dopo pagina, quello che accade. Tuttavia possiamo dire che la storia è ambientata nel 1996 in un piccolo paese di mezza montagna, Lanzo Torinese, dove il tempo sembra essersi fermato a cinquant’anni prima, com’è tipico dei luoghi di estrema provincia, e la protagonista è una ragazzina di nome Sonia. Siamo in prossimità delle vacanze di Natale, che lei deve passare suo malgrado a casa della nonna, ma la scuola ha chiuso in anticipo perché un giorno l’acida professoressa Cardone si è barricata nella sua aula e di fronte a una classe atterrita e sgomenta ha commesso un atto talmente terrificante da risultare indicibile, al punto che tutti, dovendo farne menzione, si limitano a un vago e laconico termine: «l’incidente». A questo evento sconvolgente e inaspettato faranno seguito, a cascata, tutta una serie di altri accadimenti non meno inquietanti. Sonia e il suo amico Teo, ragazzino di famiglia contadina, vorace e poco integrato nell’ambiente scolastico, vivono questi avvenimenti tragici nel microcosmo chiuso e impermeabile alla realtà esterna che è il paese di Lanzo, affrontandoli in un modo che li porterà ad approfondire il loro rapporto e soprattutto a crescere. Morsi è un romanzo che esplora in modo originale quella particolare linea d’ombra che è appunto la crescita. Sonia e Teo, hanno dodici anni, non possono perciò più definirsi propriamente bambini ma non possono ancora nemmeno dirsi adolescenti. Stanno lì a mezz’aria, un po’ impigliati fra le due cose. La scrittura adottata dall’autore nel romanzo sembra per certi versi restituirci proprio il mistero del diventare adulti. L’impressione che si ricava dalla lettura del libro, anche prescindendo dallo specifico della trama, che pure in questo ha il suo peso, è che la famiglia sia per i due ragazzini e soprattutto per Sonia, da un lato un punto di riferimento e quindi un porto sicuro, ma dall’altro sia una gabbia e un luogo in cui non ci si sente più capiti e dalla quale è necessario fuggire imparando a camminare da soli. Nel caso specifico poi, la famiglia da un certo momento della storia sembra assumere – sapremo solo alla fine se a torto o a ragione – un aspetto tutt’altro che rassicurante, anzi addirittura minaccioso. D’altra parte lo stesso avvenimento che funge da centro propulsore della vicenda, ossia il famigerato «incidente», avviene in un altro luogo deputato a rappresentare nell’immaginario collettivo un ambiente protetto per eccellenza, dove i bambini e i ragazzi possono vivere e imparare in totale sicurezza, vale a dire la scuola. Quindi è come se questo romanzo scardinasse deliberatamente tutte le certezze e le sicurezze per sottolineare che diventare adulti significa anche confrontarsi con qualcosa che ci fa paura, a partire dalla stessa metamorfosi che un adolescente vede compiersi nel proprio corpo. In questo totale ribaltamento dei sistemi sociali deputati a garantire sicurezza e protezione, anche il personaggio della nonna, tradizionalmente benefico e confortante, assume qui i contorni inquietanti della «masca», figura tipica del folclore piemontese, in tutto e per tutto assimilabile a quella della strega, e pertanto dotata di una costitutiva ambiguità: la masca, come tutto in questo romanzo, ha potenzialmente una doppia valenza, potendo operare a fin di bene ma anche sprigionare un potere malefico. Nei confronti della nonna, che in paese ha fama di guaritrice, Sonia prova appunto un sentimento contrastante di attrazione e repulsione, è incuriosita e affascinata dalle sue pratiche misteriose e dallo stanzino perennemente chiuso a chiave dove riceve i suoi “clienti” m anche spaventata dall’aura di mistero e superstizione che la circonda. Morsi si colloca nell’alveo di quelle storie che raccontano un mondo molto simile a quello reale nel quale tuttavia accade qualcosa che ne sovverte improvvisamente le regole, come ad esempio in Verderame di Michele Mari, autore che cito non a caso in quanto Marco Peano ha, in qualità di editor della casa editrice Einaudi, seguito la pubblicazione di molti libri dello scrittore milanese, e la sensazione che si ha leggendo Morsi è che lavorare all’ombra di un così grande maestro abbia lasciato mirabili tracce nella scrittura di Peano e nel suo modo di costruire una storia del terrore, come nella scelta di far ruotare la vicenda intorno a dei ragazzini che, come avviene in tanti romanzi e racconti di Michele Mari, si rivelano molto più in gamba e intraprendenti degli adulti nel venire a capo degli oscuri accadimenti di cui sono testimoni oppure vittime. Morsi abbraccia vari temi, oltre a quello della crescita e della paura, riuscendo a raccontare anche l’amicizia e il coraggio di due ragazzini che all’inizio della storia occupano posizioni diametralmente opposte: da un lato Sonia che studia con profitto e cova il desiderio di lasciare il paese per aprirsi alla scoperta di un mondo più vasto e più ricco di opportunità, dall’altro Matteo, detto Teo, figlio di contadini e del tutto immerso in quella realtà rurale fatta di dialetto, lavoro dei campi e accudimento degli animali, tanto da parlare a stento l’italiano ed essere vittima del bullismo dei compagni che lo prendono in giro per la sua indole campagnola. Sonia, in un primo tempo, sebbene non lo dileggi se ne tiene comunque a distanza, per poi gradualmente stringere con lui un’amicizia basata proprio sulla loro estrema alterità, su una diversità che li spinge l’una verso l’altro – due opposti che si completano a vicenda – coalizzandosi in un patto di mutua collaborazione per inoltrarsi in quel deserto innevato (e anche l’avventura nel biancore desolato di una landa innevata sembra essere un lascito della narrativa marista, impossibile infatti non pensare a Di bestia in bestia, romanzo a sua volta debitore, per lo stesso scenario, al Gordon Pym di Poe) che è diventato Lanzo e capire cosa sia accaduto agli adulti. Costretti a crescere molto in fretta e a scoprire che, fra le tante altre cose, «crescere significa imparare a dire addio», Sonia e Teo sapranno far fronte all’oscura minaccia che incombe su Lanzo e farsi strada verso la vita adulta, con un po’ meno spensieratezza ma più consapevoli di sé e delle persone che vorranno diventare da grandi.

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