Freedom Kick, Eugenio Merino e Indecline. Il calcio come metafora della resistenza: una mostra a Palermo

Freedom Kick, Eugenio Merino e Indecline. Il calcio come metafora della resistenza: una mostra a Palermo

Freedom Kick, di Eugenio Merino e Indecline (in mostra dal 22 febbraio al 22 marzo 2025, allo Spazio Rivoluzione a Palermo, a cura di Adalberto Abbate). Supporto sonoro Celso Piña e Rage Against The Machine Videoinstallazione di Eugenio Merino, artista contemporaneo è tra i più controversi e provocatori della scena spagnola e internazionale, realizzata in collaborazione con il collettivo attivista americano Indecline, movimento underground di artisti, fotografi, musicisti e writer di graffiti, fondato nel 2001 da Ryen McPherson. Noto per le sue azioni sovversive e anticapitaliste, Indecline ha spesso affrontando censura e sanzioni legali.

La collaborazione con Eugenio Merino in “Freedom Kick” rappresenta una critica audace all’imperialismo e alle politiche oppressive, utilizzando l’arte come mezzo di resistenza e consapevolezza sociale. Eugenio Merino (Nato a Madrid nel 1975) è sicuramente uno tra gli artisti che ha suscitato clamore mediatico e acceso dibattiti etici e legali. Tra i più controversi e provocatori della scena spagnola e internazionale, la sua arte è provocazione politica e sociale e non risparmia nessuno. In quest’installazione Merino Indecline utilizzano il calcio come metafora per una critica politica e sociale. Controverso, singolare e provocatorio, Freedom Kick colpisce a fondo, denunciando le politiche divisive e autoritarie del presidente americano, trasformando uno sport associato a valori di comunità e solidarietà in un atto di protesta. Una riproduzione iper realistica della testa di Donald Trump viene dissotterrata e utilizzata come pallone da un gruppo di ragazzi che si appresta a giocare a calcio. La voce di Trump si scinde e si somma alle immagini di elicotteri che sorvolano la zona, dove verrà giocata la partita di calcio, il muro di Tijuana. La presentificazione di quest’odio sociale, una barriera tra noi e loro, tra cittadini e migranti, tra privilegiati ed esclusi, ma anche un confine geografico che si è mutato in imposizione fisica e ideologica. Un campo improvvisato, una porta dipinta con il bianco proprio sul muro divisorio, il muro dell’ingiustizia. Quest’immagine restituisce alla nostra memoria ricordi lontani, ricordi d’infanzia. Un’ età dove era tutto più facile, tutto era spensierato. Un gruppo di amici, un campo improvvisato, un pallone e il gioco come momento di aggregazione. La colonna sonora combina il battere di ferro iniziale, con le musiche tradizionali messicane di Celso Piña e le sonorità graffianti dei Rage Against the Machine che ritmano l’incedere di energiche evoluzioni calcistiche. L’immagine della privazione e della violenza, il suono incessante e fastidioso diventa, nell’evoluzione dell’installazione video, veicolo di valori di solidarietà, unione e comunità. La testa di Trump come feticcio del potere, artefatto magico, che perde l’aura di autorità, sacralità o timore grazie al gioco del calcio, la stessa che potrebbe salvarci. In antitesi con il potere, costituito, autoritario, dominante, un gruppo di messicani giocano a calcio, sport ma anche gesto fisico o simbolico che veicola significati profondi e molteplici, che chiunque può giocare. Il calcio come rito sociale che unisce e non divide, in opposizione alle politiche divisorie del governo degli Stati Uniti d’America. La testa, in molte tradizioni, è vista come il centro dell’identità, della coscienza e del potere. La decapitazione, quindi, diventa non solo un atto di violenza fisica, ma anche un gesto che mira a distruggere o ridurre il significato di quella persona, della sua autorità, della sua presenza nel mondo. Così come in Golia decapitato, la testa decapitata di Donald Trump diventa un feticcio che simboleggia la vittoria, il trionfo del debole sul forte, ma anche una sorta di “memento mori”, un promemoria della caducità del potere. Questo feticcio, che nel contesto biblico serve da prova del coraggio e della superiorità di Davide, si trasforma in un oggetto che rinforza il racconto di una battaglia che va ben oltre l’episodio specifico, estendendo la sua significanza a tutte le vittorie che si celebrano sopra la testa dei nemici. Le teste diventano simboli di potere e in molte culture la testa è anche un simbolo di conquista e di dominazione. Si può pensare alle guerre tribali o alle leggende, in cui portare la testa del nemico era un segno di supremazia. In questo caso la testa di Donald Trump può essere letta come simbolo di vittoria, di sottomissione, l’unica al momento fattibile. Sottomettere il nemico a tal punto di fare della sua testa un pallone da calcio. La testa non è più solo un oggetto fisico, ma una costruzione sociale che può essere facilmente manipolata, distorta, o persino “decapitata” in senso figurato. Allo stesso modo che le teste decapitate, nel contesto biblico e sacro di Davide contro Golia, del debole che vince sul più forte, anche il calcio resta […], come scriveva Pasolini “l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo.” Se il rapporto tra il sacro e l’arte è da sempre tra i più antichi e profondi della storia umana, linguaggio privilegiato per dar forma all’invisibile, per tradurre l’ineffabile in immagini, suoni, gesti. Allora in questo caso ritorniamo alla storia biblica e sacra di Davide contro Golia, e nel suo corrispettivo ai giorni nostri. Nell’ opera di Eugenio Merino e IndeclineDavide appare nei primissimi frame del video, consegnare ai giocatori della partita di calcio Golia, ovvero la testa decapitata di Donald Trump. Il calcio veicola una distanza, è un atto fisico intriso di ribellione. Giocare a calcio come gesto diretto, fisico, di impatto, metafora di una rivalsa contro il sistema. Quella testa, riproduzione iper realistica di Donald Trump, appare quasi fosse un’immagine surreale, di una realtà ancora lontana ma che rievoca episodi simili, come nella caduta del governo Fascista e di Mussolini, appeso a testa in giù a Pizzale Loreto. Vogliamo aumentare la consapevolezza, vogliamo ispirare le persone a continuare a combattere”, ha detto il portavoce. Ogni generazione ha l’obbligo di tirare la corda nella direzione opposta. Non puoi sederti e stare in disparte ed essere consapevole delle cose che stanno succedendo nel tuo Paese, e dire che te ne frega qualcosa, e dire che ti importa, e non fare assolutamente nulla. È il nostro modo di dire, “This is fucked” (Indecline) Il calcio non è più solo sport, diventa azione performativa, gesto politico. Calciare un feticcio del potere è liberarsi della paura, spezzare l’idolo. Una testa decapitata, calciata, violentata, diventa un simbolico riferimento alla libertà. Il calcio come rituale che restituisce al corpo la sua forza sovversiva, al gesto la sua carica di dissenso, al gioco la sua natura originaria di libertà. In quell’impatto violento e liberatorio si rompe il silenzio imposto, si disintegra la sacralità dell’autorità, si apre uno spazio nuovo dove anche l’arte smette di contemplare e inizia a lottare.

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