“Era alta, magra, aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna – e pure non era più giovane- pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano”
Con queste parole si apre la novella La Lupa che Giovanni Verga inserisce nella raccolta Vita dei Campi ed da cui, in seguito, trarrà la versione teatrale.
L’immagine che il lettore si è sempre creato nella mente con questa descrizione si è materializzata nella figura di Donatella Finocchiaro nella Corte “Mariella Lo Giudice” di Palazzo Platamone a Catania, nella sera del 7 di luglio, all’interno di una rassegna dedicata alle celebrazioni per il centenario della morte di Giovanni Verga, dal Teatro Stabile di Catania (ora diretto da Luca De Fusco), dal Teatro della Città e, in particolare, dall’Assessorato regionale ai Beni culturali.
Di questa originale edizione Donatella Finocchiaro non è soltanto interprete protagonista ma anche regista (alla sua prima prova) e ha intessuto il progetto drammaturgico con Luana Rondinelli che collabora alla regia (movimenti di scena di Sabino Civilleri).
Rispetto alla novella, molto essenziale, centrata su tre personaggi e un minimo di coralità, la versione teatrale fu amplificata dallo stesso autore catanese: in equilibrio tra folclore siciliano, con una cornice di suoni, colori, canti e inni religiosi, la trama prende una coloritura melodrammatica di amore, incesto e morte (lo stesso Verga, insieme a De Roberto scriverà il libretto d’opera che Puccini avrebbe dovuto musicare).
Quella dilatazione spettacolare già prevista dall’autore, in questa edizione è stata certamente la chiave di lettura della Finocchiaro regista.
Tutti i personaggi che servono a rappresentare l’ambiente di una Sicilia contadina e mitica, religiosa e superstiziosa, affamata e assetata, legata alle sue terre, alla sua “roba”, hanno un peso notevole, tanto da assottigliare il distacco tra i tre personaggi principali e il resto del villaggio della piana di Catania.
La Gna Pina era chiamata la” lupa” nel paese perché gli uomini se li mangiava, aveva le sue terre stese al sole e una figlia che aveva cresciuto da sola.
Lei si innamora pazzamente di Nanni Lasca (qui interpretato da un convincente Bruno Di Chiara), un bracciante che lavorava a giornata. Ma non è amore il suo, non c’è amore nel mondo di Verga, è desiderio potente, brama che fa tremare “le carni” alla donna, che come una lupa, è famelica.
Nanni accetta il gioco esplicito della seduzione ma ne trae vantaggio e interesse, quell’interesse che è il tema dominante della narrativa verghiana, nelle novelle come nei romanzi. Nanni vuole “la roba” e se la Gna Pina gli farà sposare la figlia Mara, egli avrà la sua roba, le terre stese al sole e la casa. Così i due, in un dialogo sotto la luna, si accordano e la Gna Pina avrà il suo Nanni.
Sarà la rovina, sarà la tragedia per tutti e tre, per la Gna Pina, scandalosa, peccatrice, dominatrice destinata a restare sola e condannata da tutti, per Nanni, incatenato a un’ossessione troppo più grande di lui, e per Maria (Chiara Stassi, ancora acerba anche se delicata e equilibratamente dolce e risoluta), la vera vittima, impotente, sacrificata sull’altare della passione e dell’interesse economico.
Il messaggio esplicito della novella, il determinismo che nega libertà e scelta agli individui, giustamente paragonati alle bestie, nella versione teatrale è meno diretto, proprio per la presenza di altri personaggi che si affiancano ai protagonisti.
Sulle scene catanesi abbiamo visto una interpretazione che ha dato molto corpo allo spettacolo. Col supporto di una scenografia minimal ma studiata intelligentemente (curata da Vincenzo La Mendola), le scene si susseguono in pose plastiche come in quadri caravaggeschi, bene illuminati e con composizioni d’insieme equilibrate.
Qualche passaggio scade un po’ verso la comicità, forse voluta per alleggerire, ma non proprio pertinente anche se affidata ad attrici bravissime come Alice Ferlito, Laura Giordani, Raniela Ragonese, Giorgia D’Acquisto.
Donatella Finocchiaro interprete ha dato alla sua Gna Pina una femminilità molto moderna, spregiudicata, decisamente dotata di una carica sessuale che la sua fisicità le permette. Non è esattamente questa la sensualità che Verga aveva immaginato, tutta incentrata sullo sguardo di una donna e senza altri particolari espliciti. Ma in questa versione la scena è ambientata negli anni Cinquanta, le canzoni sono quelle moderne e non quelle popolari, i baci sono veri, gli amplessi sono davanti agli occhi di tutti. Già gli amplessi, perché in questa coralità rimarcata la notte nell’aia è una notte di seduzione e di passione per tutti, non soltanto per Nanni e la Gna Pina. Molto bella la scena, arricchita da un sottofondo musicale seducente (di Vincenzo Gangi) se la guardiamo da un punto di vista estetico, anche se così ci è sembrato che sfugga il senso dello scandalo, della colpa che ricade solo sui due personaggi che Verga ha scolpito come tragici nella inesorabilità del loro destino.
In questa come in altre scene, soprattutto nel finale, la regia ha voluto mirare sostanzialmente al coup de theatre che raggiunge magnificamente, pur sacrificando il messaggio. In un momento di danza sfrenata, quasi un baccanale, le donne si lasciano andare, come in preda a desideri repressi, e con una gestualità liberatoria certamente coinvolgente, ma fine a se stessa.
E’ mancata soprattutto l’emozione nel finale, dove Verga aveva immaginato la violenza estrema dell’ascia piantata nel petto della donna-lupa, ossessione irrinunciabile che va incontro alla morte con un fascio di garofani rossi tra le braccia. La sostituzione con un piccolo pugnale, alla maniera giapponese, ha spento totalmente il pathos voluto dall’autore. Poi, la Gna Pina si trasforma, come sublimata, in una madonna siciliana, secondo quell’imaginario che gli spot Dolce e Gabbana e alcune regie di Emma Dante hanno creato recentemente. Bello l’effetto sul piano estetico, ma sterile.
Cast: Bruno Di Chiara: Nanni Lasca; Chiara Stassi :Mara; Ivan Giambirtone: Malerba; Liborio Natali: Janu e il prete; Alice Ferlito: Filomena; Laura Giordani: la Prefica; Raniela Ragonese: Nela; Giorgia D’Acquisto: Rosa; Federica D’Amore: Lia; Roberta Amato: Grazia; Giuseppe Innocente: Bruno; Gianmarco Arcadipane: Cardillo. Scene e costumi: Vincenzo La Mendola; musiche: Vincenzo Gangi; luci: Gaetano La Mela.
LOREDANA PITINO