«Dimenticami dopodomani»: un memoir a cuore aperto
«Dimenticami dopodomani», ultima fatica letteraria di Andrea Di Consoli, uscito a maggio per i tipi di Rubbettino editore, è un libro difficilmente incasellabile in un genere e in una forma. Più simile al memoir che all’autobiografia, potrebbe essere definito un poema in prosa, un romanzo scritto in prosa poetica o una raccolta di poesie-racconto alla maniera pavesiana. Quello che è certo è che fra le pagine di questo libro è possibile cogliere la vicenda sentimentale e intima di un uomo del Sud Italia che ha raggiunto una maturità problematica non esente da paure, nostalgie, sensi di colpa. Pagina dopo pagina si dipanano così i temi cari all’autore: dalla sua identità meridionale all’ossessione del ricordare e del passato che resta «insepolto», dall’amore alla solitudine, dalla responsabilità di essere padre al pensiero, a volte spaventoso e a volte consolatorio, della morte. Sì, consolatorio, perché «la vita e più forte, quando c’è la morte» e perché «quando morire è un pensiero naturale,/ la vita è semplicemente perfetta in una/ della sue rare forme di compiutezza». In questa raccolta – che si voglia considerare di racconti o di poesie poco importa – Di Consoli narra della sua giovinezza in Basilicata, di amori inquieti e di vertiginose solitudini, di persone comuni e di personaggi famosi incontrati nel corso della vita, dei propri figli ormai cresciuti e del suo non aver mai smesso di sentirsi figlio, anche ora che è padre a sua volta. Racconta del rapporto con i genitori contadini e di una maturità non affrancata da timori, dubbi, momenti di stanchezza e di resa. Si confessa, Di Consoli, e lo fa senza pudore, con parole dirette che rivelano disincanti e fallimenti, desideri e amarezze. Potrebbe sembrare un libro intriso di pessimismo e mestizia ma in esso è presente un barlume di speranza nella misura in cui viene affermato con forza che «sempre la spinta ad andare avanti mi arriva dagli altri […] perché sono gli altri che danno senso al nostro esistere […] che la vita è sì una prova durissima e insensata,/ ma che insieme agli altri è meno dura e insensata. […] Bisogna avere indulgenza e pazienza, anche perché tutti quelli che incontriamo, che baciamo, a cui stringiamo la mano, hanno la ventura di stare nel nostro stesso punto insensato dell’universo e, per quanto diversi, per quanto orrendi, per quanto deludenti, condividono con noi un eguale destino, un eguale batticuore, un eguale bisogno di calore, anche se noi esseri umani abbiamo questa strana vocazione a farci del male, a ferirci, a calpestarci». È duro, Di Consoli, perché realistico e perché non fa sconti a nessuno, meno che mai a se stesso, ma ci consegna un libro che è pure dolce e struggente. E coraggioso, anche. Perché occorre coraggio per affermare: «Non sono felice./ Ma non mi manca la felicità:/ mi manca qualcuno con cui condividere l’infelicità». Così, come in un cerchio che si chiude, ancora una volta si torna a dichiarare il bisogno di stare con gli altri, di avere qualcuno con cui condividere l’insensatezza del vivere. Racconta di sé, Di Consoli, ma in realtà scrive il poema prosaico e aspro, appassionato e struggente, di un’intera generazione.
Andrea Di Consoli, Dimenticami dopodomani, Rubbettino 2024, pp. 200, € 16,00