L’IRA DI DIO, ROMANZO DI COSTANZA DI QUATTRO, BALDINI E CASTOLDI

“AMO IL MIO PECCATO”

Ibla, in Sicilia, è una terra magica, collocata al sud dell’isola ma non sul mare; si arrampica, letteralmente, su una collina ripida che vista, oggi, da lontano le conferisce l’aspetto di un presepe brulicante di facciate di palazzi e di chiese coi campanili e le cupole. Al centro del Val di noto, è uno dei luoghi più affascinanti della provincia di Ragusa e, forse, di tutta la Sicilia.

In questa terra, nel 1986, è nata Costanza Di Quattro, oggi scrittrice, giornalista e drammaturga che nei suoi romanzi ( La mia casa di Moltalbano, Donnafugata, Giuditta e il Monsù, e Arrocco siciliano) ha raccontato la provincia di Ragusa e soprattutto Ibla, la sua gente, i suoi paesaggi, la storia di una città nobile e contadina, selvaggia ed elegante, austera ed accogliente.

L’ultimo romanzo, uscito a febbraio 2024 per Baldini e Castoldi, si intitola L’ira di Dio e racconta la pagina più drammatica e atroce del Val di Noto: il terremoto che l’11 gennaio del 1693 devastò tutta la costa orientale siciliana, tra Catania e Siracusa e ne ridisegnò la morfologia.

L’ira di Dio è quella che temono tutti coloro che abbiano ricevuto una educazione cristiana. Il Dio del Vecchio testamento era un Dio vendicativo e la religione che nasce da Paolo di Tarso e da S.Agostino ha fatto sempre leva sul rimorso per il peccato compiuto come quello da cui può scaturire la punizione, anche terribile, anche spropositata, di Dio.

Nel romanzo della Di Quattro il peccato imperdonabile e scandaloso al centro della vicenda è un peccato d’amore. Un amore grande, sincero, ingovernabile ma impossibile e condannato perché è quello che nasce fra un parroco, Padre Bernardo, appartenente a una famiglia aristocratica e potente -L’Arestia Corbara- e una criata, Tresina, che ha subito violenza ed è scappata dalla casa dove lavorava e viene soccorsa e accolta nella parrocchia come perpetua.

Bernardo, prete dalla vocazione poco spontanea, ha subito per la ragazza un’attrazione fortissima. La guarda come fosse una madonna dipinta, è affascinato dalla sinuosità del suo corpo, dalle curve del seno che hanno la bellezza candida dell’innocenza ed emanano femminilità materna. Lui che non ha conosciuto la dolcezza di una madre poiché la sua, Donna Ninfa, era una donna austera, chiusa nel lutto per il marito e terribilmente bigotta.

Quell’amore tanto indomabile perché tanto innocente, creerà lo scandalo in paese, nella canonica, che verrà abbandonata da quasi tutti i fedeli, nella famiglia di Bernardo e nella curia. Tresina sarà ritenuta un diavolo che si è impossessato dell’animo del prete e lui un indemoniato da esorcizzare.

Quasi noncuranti delle conseguenze della loro relazione, i due vivono il loro amore con una spontanea naturalezza e slancio. Per loro non è peccato e questo Bernardo lo grida a tutti: alla madre che minaccia di diseredarlo, alla curia, ai parrocchiani, al fratello Eligio che lui adora e rispetta. Rifiuta di confessarsi con Padre Costante e sostiene che non può chiedere perdono di un peccato “che ama”. Un peccato che lo porterà anche alla dolcissima gioia della paternità, vera esperienza del sacro.

In un contesto narrativo avvincente e costruito con maestria, la scrittrice ci spinge a una riflessione sul tema del peccato e traspare in molti punti una suggestione manzoniana soprattutto proprio nel personaggio di Bernardo che, nella seconda parte del romanzo, ricorda un Fra Cristoforo fra i sopravvissuti del terremoto. Il riferimento a S.Agostino, alla Città di Dio, che il parroco recupera dopo il sisma e legge e medita, conduce il lettore verso il conflitto, marcato nella vicenda, tra il valore dell’amore e il senso di colpa e di oppressione in un’epoca di Inquisizione e oscurantismo.

Popolano il romanzo, insieme al parroco protagonista, una schiera di personaggi tutti interessantissimi. Il più umano e delicato è Eligio, gemello di Bernardo, rimasto inabile per un incidente (causato dallo stesso fratello) ma sempre docile e saggio. Poi la madre Ninfa, risoluta nella condanna verso l’operato del figlio, cieca nella sua fede ottusa e totalmente insensibile. La giovane Trisina, apparentemente fragile ma dotata della forza della femminilità e della maternità.

Fra tanti altri rimane impressa, poi, la figura di Gasparino, al quale la Di Quattro affida un ruolo decisivo in un’ottica storica, quella del passaggio dalla Sicilia feudale secentesca all’opulenza magnifica della ricostruzione post terremoto, col trionfo del Barocco del Val di Noto. Gasparino diventerà uno degli architetti che guideranno la ricostruzione.

L’ira di Dio si abbatte sui peccatori, la distruzione totale delle case e la morte, la fame e le malattie che ne seguirono, sono viste da tutti come un segno della vendetta di Dio. Bernardo perde tutto, gli rimarrà solo Eligio, ma dallo sconforto e dalla disperazione lui disegnerà un progetto di ricostruzione.

La morte e la rinascita, la fede in Dio e la fede nell’uomo, la bellezza che deve essere riscoperta e realizzata nelle nuove forme che Ibla avrà.

La cifra emozionante di questo romanzo -oltre alle belle pagine dedicate alla descrizione del terremoto- la troviamo nella celebrazione della bellezza declinata secondo lo stile Barocco che ha plasmato l’architettura di tutta la Costa Occidentale dell’isola. “Le linee devono essere sinuose ma essenziali, funzionali a una città moderna e imponenti come una città antica”.

L’intero romanzo è’ una esaltazione della bellezza originale e irregolare del Barocco, è un omaggio a una terra affascinante, è una descrizione particolareggiata che si svolge insieme alla vicenda dei personaggi che, per sua stessa ammissione, la scrittrice ha inventato ma ha reso verisimili, in un linguaggio fluido ed elegante, concreto e colorito al contempo.

 

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