Nell’attesa perenne: «La Fortezza»

Nell’attesa perenne: «La Fortezza»

«Probabilmente tutto è nato nella redazione del Corriere della Sera. Dal 1933 al 1939 ci ho lavorato tutte le notti, ed era un lavoro piuttosto pesante e monotono, e i mesi passavano, passavano gli anni e io mi chiedevo se fosse andata avanti sempre così, se le speranze, i sogni inevitabili quando si è giovani, si sarebbero atrofizzati a poco a poco, se la grande occasione sarebbe venuta o no, e intorno a me vedevo uomini, alcuni della mia età, altri molto più anziani, i quali andavano, andavano, trasportati dallo stesso lento fiume e mi domandavo se anch’io un giorno non mi sarei trovato nelle stesse condizioni dei colleghi dai capelli bianchi già alla vigilia della pensione, colleghi oscuri che non avrebbero lasciato dietro di sé che un pallido ricordo destinato presto a svanire.»

Dino Buzzati

«La Fortezza», lo spettacolo frutto di un impegnativo laboratorio teatrale della Compagnia Fabbricateatro si presta ad un doppio «stupore»: quello del luogo, en plen air, assolutamente inedito, scelto dal regista Elio Gimbo – il baglio de «Lo stallone», sede dell’Istituto di incremento ippico di Catania – e quello dei contenuti, incentrati sul rapporto fragilissimo tra aspettative, illusioni, tempo fisico e tempo soggettivo su cui si incentra il romanzo «Il deserto dei Tartari» di Dino Buzzati, cui proprio «La Fortezza» liberamente si ispira. Una operazione non necessariamente filologica che, pur mantenendo l’humus narrativo e l’asciuttezza del libro, deborda verso un «altrove» non facilmente definibile: e per fortuna, aggiungiamo. Lo spettatore è infatti chiamato direttamente in causa, spinto non a subirlo ma ad decodificarlo, a spostare di continuo criteri interpretativi. Polemica antimilitarista? Riflessione sul desiderio? Esplorazione di una auto-esclusione che diventa sempre più consapevole ed inevitabile? Legame che lega spazio e tempo?

Ecco allora il lavoro di regia di Gimbo corrispondere alla creazione di una sorta di teatro dell’indefinito (nel senso più puramente leopardiano) nel quale lasciare convergere tutte le suggestioni della ricerca di Fabbricateatro: una spiccata trasversalità di lettura rispetto alla consuetudine – si pensi alle operazioni su Martoglio – e qualche scoperto riferimento a certa cinematografia, per così dire, «filosofica»: la partita a scacchi che non cita solo il romanzo ma velatamente il Bergman de «Il settimo sigillo», è esemplificativa. Così come nel romanzo si insiste sul contrasto tra verticalità e orizzontalità – le montagne e il deserto – lo spettacolo rinvia a questo dualismo nella scelta dei tempi della rappresentazione: all’approssimarsi del tramonto ovvero in una atmosfera quasi purgatoriale (o almeno una sua rielaborazione). «La Fortezza» diventa così il regno dell’attesa e della purificazione, un luogo di speranze (tutte deluse, però) e di sofferenza. In un alternarsi di nostalgie ed entusiasmi, di desideri e delusioni, «La Fortezza», luogo dell’immobilità – «Attento Drogo, tu non conosci il tempo» – limes più mentale che reale, frontiera morta, racconta i giovani di ogni tempoSabrina Tellico imprime una forza drammatica davvero intensa al personaggio di Giovanni Drogo universalizzandolo – diventando così «mania», luogo di oblio e di incantamento (come appunto era per Buzzati la redazione del «Corriere della Sera»), spazio di estraniazione e perdizione anche per gli altri personaggi, tutti più che convincenti: Nicoletta Basile (Colonnello Matti), Aurora Strano (sarto Prosdocimo), Francesco Rizzo (Sergente Tronk), Nicole Somers Andolina (soldato Angustina, poi tenente Simeoni), tutti attori-studenti che, nelle intenzioni di Fabbricateatro formeranno una compagnia stabile d’ateneo. Nella sospensione eterna che sottende le nostre vite, dunque «La Fortezza», luogo senza luogo ma radicato in noi, si fa simbolo della nostra inquietudine e della nostra incapacità di sfuggire alla logica dell’obiettivo da raggiungere ad ogni costo: tutti crocifissi ad un’attesa che spesso si rivela vana: così la possente cavalla Bruna montata da una enigmatica figura femminile in bianco (l’artista equestre Francesca Scirè) che cavalca alla fine della messa in scena, è il destino che si accanisce a giri sempre più stretti e più probabilmente la fine di tutto: quella morte che arriva improvvisa e inaspettata ma che è il solo momento nel quale tentare di comprendere il senso di tutta una vita.

LA FORTEZZA

Libera versione teatrale del romanzo «Il deserto dei Tartari» di Dino Buzzati

con:

Sabrina Tellico – Giovanni Drogo

Nicoletta Basile – Colonnello Matti

Aurora Strano – sarto Prosdocimo

Francesco Rizzo – Sergente Tronk

Nicole Somers Andolina – soldato Angustina, poi tenente Simeoni

Roberta Puglisi – soldato Moretti

Daniela Liotta – capitano Ortiz

Chiara Sabbatini – dottor Rovina

Salvo Pace – soldato Lagorio

Rosaria Romeo – madre di Drogo

Leonardo Grasso – Drogo ragazzo

Artista equestre – Francesca Scirè su cavalla Bruna

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