La dolceamara poesia della vita della narrativa di Domenico Dara
C’è tutta la dolceamara poesia della vita nei romanzi di Domenico Dara. In tutti i suoi romanzi. Dal primo sorprendente libro d’esordio, Breve trattato sulle coincidenze, che ne ha rivelato il talento al grande pubblico, passando attraverso il mirabolante Appunti di meccanica celeste, e lo struggente e bellissimo Malinverno, autentico capolavoro e summa delle tematiche care allo scrittore di Girifalco. E accade anche nel recente Liberata, pubblicato per i tipi di Feltrinelli a fine agosto 2024 e andato in ristampa a distanza di due sole settimane dall’uscita. Liberata è una giovane donna che crede «a tutto quello che non si vede», la sua indole sognatrice e il suo essere una creatura a metà strada fra la realtà e l’immaginazione la collocano di diritto nella galleria dei personaggi tipici di Domenico Dara, imparentandola ad esempio con Astolfo Malinverno. Tratto comune dei personaggi di Dara è l’essere dei sognatori che si scontrano con la durezza della realtà. È quello che accade anche a Liberata Macrì, il cui nome non a caso fa rima con quello di Madame Bovary, libro feticcio di Domenico Dara che già tanta parte ha avuto nel precedente romanzo Malinverno. Qui però, a differenza di quanto accade in Malinverno, al centro della narrazione non ci sono i romanzi bensì i fotoromanzi, vale a dire quel genere di racconto per immagini che si è soliti il più delle volte liquidare come sottoprodotto culturale frivolo ed eccessivamente “pop”. Dei fotoromanzi Liberata è un’appassionata lettrice e collezionista devota, soprattutto se il protagonista è Franco Gasparri, attore di cui è segretamente innamorata. I fotoromanzi rappresentano per Liberata una dimensione “altra” rispetto alla realtà, una via di fuga dalla routine di giornate tutte uguali, un momento di evasione dal grigiore della quotidianità. È così che i fotoromanzi diventano anche una sorta di manuale di istruzioni e un vademecum per orientarsi nella vita, un prontuario a cui attingere in caso di necessità: «Le piaceva trovare similitudini tra le sue giornate e le pagine dei fotoromanzi: non una storia intera, che non sarebbe mai capitata, ma particolari che accendessero fiammelle, creassero possibilità, che incrementassero il miraggio della sovrapposizione. Come se quelle pagine patinate fossero oracoli, fotografie allineate come tarocchi, che illuminavano bivi e raccontavano futuri». Ma come insegna Pirandello nella sua Avvertenza sugli scrupoli della fantasia, vera e propria dichiarazione programmatica posta a conclusione del suo Il fu Mattia Pascal, la realtà supera sempre di gran lunga la fantasia, e la vita non ha affatto bisogno di sembrare “verosimile” per il semplice motivo che è “vera”. È così che l’esistenza sognante e appartata di Liberata viene scombussolata dall’arrivo di Luvio, il nuovo operaio dell’officina meccanica del padre, un Franco Gasparri in carne e ossa, che si materializza nella sua vita facendola sentire, prima, protagonista lei stessa di una romantica storia da fotoromanzo e costringendola, poi, ad aprire gli occhi sulla realtà in tutta la sua crudezza, col suo carico di inganno e di dolore. Ma sarà proprio questo a innescare il cambiamento e la metamorfosi della protagonista, perché Liberata è essenzialmente un romanzo di formazione, delicato e potente, su cui si innestano le tinte cupe del giallo. Un apologo tenero e struggente ma anche crudele e sofferto sulla perdita dell’innocenza e sull’ineluttabilità della crescita che quasi sempre corrisponde alla scoperta del lato oscuro delle persone, anche quelle che più amiamo e crediamo di conoscere, e della ferocia della vita. Il contesto storico e sociale che fa da sfondo al romanzo è quello degli anni Settanta: gli anni di piombo, caratterizzati dagli scontri di piazza, dalle proteste, dalle manifestazioni violente, la cui eco giunge anche nel paese di provincia in cui abita Liberata e che seppure non viene mai menzionato con un nome specifico è identificabile con Girifalco, da sempre centro propulsore di tutte le storie narrate da Dara. Qui la grande Storia, quella con l’iniziale maiuscola, fa il suo ingresso con una stella a cinque punte che una mano oscura ha disegnato sul muro della farmacia, mentre un’altra mano, non meno misteriosa, semina inquietudine nei paesi limitrofi e nello stesso paese di Liberata, decapitando le statue delle Madonne. Una radio locale – Radio Alternativa 71, «la radio dalla parte dell’umanità» – tiene aggiornata la popolazione sulle fosche vicende che accadono dentro e attorno al piccolo centro di periferia, sebbene nessuno conosca l’esatta ubicazione dell’emittente né tantomeno l’identità dello spiker. In tale scenario, caratterizzato da un lato dall’incombere nella vicenda degli irrequieti anni Settanta, con il loro clima eversivo e il loro bagaglio di azioni terroristiche, e dall’altro l’ingenua inclinazione di Liberata a rifugiarsi nel mondo patinato e sognante dei fotoromanzi, s’impone una riflessione: nel decennio che va dal 1970 al 1980 i fotoromanzi sono un prodotto vendutissimo, nel 1976 la tiratura delle varie case editrici specializzate raggiunge in Italia la quota di oltre otto milioni e seicentomila copie al mese, di cui cinque milioni vendute dalla sola Lancio, cui appartengono testate prestigiose quali Letizia, Charme, Jacques Douglas, Lucky Martin. Sulla scia del successo dei fotoromanzi nascono e si affermano nuovi miti e le ragazze appendono alle pareti delle loro camere i poster dei loro attori e attrici preferiti (da Franco Gasparri a Claudia Rivelli, da Adriana Rame a Katiuscia, da Michela Roc ad Alex Damiani, da Franco Dani a Sebastiano Somma) e molte di loro fanno la fila fuori dai cancelli della Lancio per poterli incontrare. Questo dato statistico ci offre l’immagine di un Paese diviso in due, con da una parte coloro che volevano combattere e impegnarsi per degli ideali, a volte sostenendo le proprie idee anche in modo violento, e dall’altra coloro che da quella realtà turbolenta volevano evadere e affrancarsi. Liberata racconta anche di questa umanità che rimaneva in disparte e guardava a tali eventi con distacco diffidenza e paura, cosa in fondo abbastanza comune nelle aree di provincia, lontane dai grandi centri urbani. Nel microcosmo in cui Liberata vive abitano e agiscono altri personaggi che finiscono per avere un peso più o meno importante nella vicenda narrata. Oltre al già menzionato Luvio, soggetto innescante della graduale ma progressiva metamorfosi di Liberata, è il caso di ricordare suo padre Oreste, meccanico con la passione per l’entomologia, e sua madre Agata, che incarna un tipo di femminilità differente rispetto a Liberata: se quest’ultima è infatti la donna degli anni Settanta che si sta emancipando, Agata è invece una donna vecchio stampo, reazionaria e timorata di Dio, fredda nei confronti della figlia e incline a opporsi ai mutamenti sociali in atto, e che proprio per questo entra spesso in conflitto con Liberata. Attorno al nucleo familiare della protagonista si muovono Glauco, l’edicolante che è anche segretario della locale sezione del Partito Comunista, amico e consigliere di Liberata, la sua amica Giuditta, esuberante commessa di un negozio di abbigliamento, Beccaria, il sagrestano col fisico da gigante e l’animo di un bambino, e Zangari, misteriosa figura che entra in contatto con Liberata e che è depositaria di una saggezza tutta sua, legata anche in questo caso alla passione per gli insetti, che osserva e da cui trae massime di vita. Perché proprio dagli insetti deriva uno dei principali moniti che questo nuovo romanzo di Domenico Dara ci consegna: «talvolta per continuare a sopravvivere bisogna perdere una parte di quello che si ha, foss’anche la più cara e preziosa». Risulta ovvio a questo punto chiedersi quale parte di sé perda Liberata per poter andare avanti. Indubbiamente perde molte delle illusioni che l’accompagnavano all’inizio della vicenda narrata – quella «tavola periodica dei sentimenti umani» da lei elaborata nell’illusione di riuscire a dare un ordine a degli eventi che sono in realtà in balìa del caos più totale – e vede diminuire necessariamente lo spazio che avevano nella sua esistenza il sogno, la fantasia e l’immaginazione. La sua esperienza con Luvio ha rappresentato l’ingresso nella realtà, e nell’età adulta. È uno dei grandi temi della narrativa di Domenico Dara vedere quanto l’immaginazione possa influire sulla realtà e in che misura la realtà riesca a neutralizzare il potere della fantasia. Liberata dunque perde sicuramente molto, ma guadagna una consapevolezza che è anche una maturazione e una crescita. La sua vicenda può essere sintetizzata come la parabola esistenziale di una giovane donna calabrese che realizza un percorso verso la consapevolezza di sé e il riconoscimento e l’affermazione della propria identità, il tutto sullo sfondo storico e sociale degli anni di piombo. Liberata è una moderna Madame Bovary che saprà però dare la svolta giusta al proprio destino anziché soccombere, come invece l’eroina flaubertiana, dinanzi allo scontro con la realtà. Liberata cessa di essere Emma Bovary e diviene una persona reale e consapevole, o, meno drasticamente, diventa un’Emma che è scesa a patti con la realtà, che ha trovato un compromesso tra concretezza e illusorietà, un compromesso che le consente di restare al mondo. La scrittura di Dara si riconferma – pur attraverso una lingua più semplice rispetto ai suoi precedenti romanzi, semplicità dovuta a un intento mimetico, dovendo il lessico riprodurre il linguaggio non troppo forbito dei fotoromanzi – immaginifica, lirica, struggentemente poetica, capace di scandagliare come pochi altri scrittori sanno fare le profondità dell’animo umano, facendo breccia ancora una volta nel cuore dei lettori. In questo piccolo formicaio umano che Domenico Dara sa evocare con maestria e attenzione ai dettagli, anche le persone all’apparenza più umili sono portatrici di una loro saggezza, e anche le creature più semplici celano un segreto, mentre la vita, seguendo il suo imperscrutabile disegno, o, più semplicemente, un’ineffabile casualità, dispensa su tutti il suo carico di gioie e dolori, d’imperfezione e d’incanto.
Domenico Dara, Liberata, Feltrinelli 2024, pp. 400, € 19,00