Siamo ancora nell’anno delle celebrazioni per il centenario della morte del grande musicista Giacomo Puccini e in questo anno sono stati moltissimi gli eventi e le manifestazioni in suo onore.
In molti modi si può ricordare un maestro del calibro di Puccini che ha segnato la trasformazione del melodramma e ha saputo rappresentare in melodia i più profondi e sconvolgenti sentimenti dell’animo umano. Basta mettere in scena una delle sue opere, basta dedicargli un concerto, basta riprodurre arie celebri e duetti strazianti. Si possono fare operazioni dignitose e oneste, all’altezza del colosso con cui ci si confronta e enti lirici, teatri e associazioni a vario livello lo hanno fatto nel corso del 2024.
Si può, poi, fare un’operazione insulsa e poco decorosa, per non dire oltraggiosa, supponente e forzata, come ci è capitato di vedere recentemente in televisione, in una trasmissione che voleva, forse avrebbe voluto, omaggiare il musicista di Lucca ma si è trasformata in un carrozzone dagli accostamenti stravaganti e male assortiti.
Ma si può fare anche un piccolo capolavoro.
E di questo si tratta se parliamo dello spettacolo La cameriera di puccini, andato in scena al Teatro del Canovaccio, grazie alla drammaturgia e regia di Nicola Zavagli, con François Meshreki e Beatrice Visibelli, l’intermezzo musicale a cura del soprano Kasumi Hiyane e del maestro Alistair Sorley, costumi: Cristian Garbo, luci: Michele Redaelli (produzione Compagnia Teatri d’Imbarco di Firenze
Sul filo della narrazione affidata a una governante di Villa Puccini, a Torre del Lago, viene ripercorsa la triste e nota vicenda della giovane ragazza a servizio della villa, avvelenatasi per le accuse mosse nei suoi confronti dalla moglie del musicista, Donna Elvira, che la riteneva una delle tante “distrazioni” del marito.
Un sedicente giornalista, studente squattrinato, alle prime armi con il mestiere, interpretato da François Meshreki, arriva alla villa per intervistare il Maestro ma non lo trova; è arrivato in un momento sbagliato. Trova la cameriera, governante, che, dopo un primo momento di riservatezza e timore verso questo estraneo, pian piano si apre e racconta, lei, i segreti del Maestro e le sue passioni, gli amori, gli svaghi.
Beatrice Visibelli interpreta il ruolo di questa donna segretamente innamorata del Maestro, che lo giustifica e si accanisce contro la moglie che lo perseguita con la sua gelosia. Le brillano gli occhi quando racconta di quell’unica volta in cui lei ha avuto il coraggio di avvicinarsi e quasi sfiorare il volto del musicista che si riposava al sole. Racconta e si apre come in una confessione con una gestualità quasi solenne ma la sincerità di un legame lungo e sentito, di un rispetto del ruolo che cela attrazione per il fascino di un uomo elegante, signore, artista.
La prova d’attore della Visibelli è di quelle che restituiscono senso al teatro e riportano alla memoria le interpretazioni classiche e potenti, quelle di un tempo passato, quello di attrici di grande calibro, dal timbro di voce cupo e cantilenante, dove la cadenza toscana è parte del personaggio ma è anche parte naturale dell’artista che non entra nel ruolo ma fa suo il ruolo.
Avevamo apprezzato questa rara qualità, questo mestiere di artista, vedendole interpretare il ruolo, maschile, del protagonista, nella Mite di Dostoevskij, in una edizione che andò in streaming nei terribili mesi del lockdown, sempre per la produzione dei Teatri d’Imbarco di Firenze, sempre per la regia di Nicola Zavagli. Avvolta in un pastrano scuro, interpretava l’indagine sul male e l’inesorabilità di un rapporto malato che costringe la donna, sua vittima, al suicidio.
Certamente poterla ammirare dal vivo, nella piccola sala del Teatro del Canovaccio ha restituito a quell’emozione già provata la forza del rapporto fisico e il coinvolgimento che ha trascinato anche il pubblico verso una condivisione empatica, da far sgorgare la lacrima.
La peculiarità di questo spettacolo è che rende davvero omaggio a Puccini perché il racconto della triste vicenda e la ricostruzione dei fatti fanno da cornice a momenti musicali, affidati alla voce, ancora acerba ma vibrante e tecnicamente corretta, del soprano Kasumi Hiyane accompagnato al piano dal Maestro Alistair Sorley, che intercalano i passaggi narrativi con arie celebri tratte dalle opere di Puccini che hanno scandagliato l’animo femminile. Nel racconto della cameriera si aggiunge tutta la magia e la meraviglia dell’opera lirica vista a teatro. Il finale, con l’ammissione della morte della giovane donna, avvelenata, viene sottolineato dalla più straziante delle arie scritte da Puccini, anche lui vicino alla morte, quella di Liù, nella Turandot, che muore per amore, per non tradire il suo Principe Kalaf.
Il Maestro sarà sicuramente felice di questa forma di commemorazione.