Il Male oscuro di Giuseppe Berto al Teatro Stabile di Catania

Adattamento e regia di Giuseppe Dipasquale, produzione del Teatro Biondo di Palermo, Teatro Stabile di Catania e Marche Teatro. In scena Alessio Vassallo, Ninni Bruschetta, Cesare Biondolillo, Lucia Fossi, Luca Iacono, Viviana Lombardo, Consuelo Lupo, Ginevra Pisani.

Impresa coraggiosa e difficile quella di portare in scena un romanzo complesso e lungo (quasi 500 pagine) come Il male oscuro di Giuseppe Berto. Difficile perché si tratta di una consistente narrazione autobiografica, uscita nel 1964, che segue un unico flusso di coscienza attraverso cui l’autore racconta se stesso seguendo la precisa dinamica dell’analisi della propria psiche, procedendo per flashback e libera associazione di idee, nei meandri della memoria per individuare eventi rimossi, traumi, fattori scatenanti di quel lungo stato di nevrosi nel quale lo scrittore era caduto per più di un decennio.

Per sua stessa ammissione, Berto si ispira palesemente a Svevo con la sua Coscienza di Zeno rispetto al quale rintracciamo chiaramente l’intento di concretizzare sotto forma di rivelazione diaristica, le fasi della riscoperta dell’io e il riconoscimento della psicanalisi come tecnica per recuperare frammenti del vissuto e farli emergere dallo stato latente a uno stato rivelato ed evidente. Svevo non aveva concesso alla psicanalisi lo status di valida terapia medica che portasse alla guarigione (l’ironia con cui presenta la figura del Dott. S. e la stessa conclusione della Coscienza ne sono dimostrazione), ma le aveva riconosciuto l’innegabile valore come metodo di indagine e poi di narrazione.

Giuseppe Berto aveva conosciuto la psicanalisi perché si era rivolto al Dott. Nicola Perrotti per curare la sua nevrosi da angoscia, come gli era stata diagnosticata nel 1954.

Così come accade di fronte allo psicanalista che indaga nella sfera più remota e intima del paziente per svelarne e denunciare le cause della malattia, il percorso narrativo di Berto procede con un viaggio nella memoria e sotto la guida, a volte invadente del medico (anonimo nel romanzo) riconosce i nodi cruciali, le paure, i rapporti morbosi, le delusioni, le frustrazioni che stanno a monte di quell’orrenda condizione dell’esistenza che viene, appunto, definita il male oscuro. Come la terapia procede attraverso la libera associazione delle idee, così procede la struttura narrativa del romanzo di Berto. Romanzo che ebbe importanti riconoscimenti al momento della sua pubblicazione, fra i quali il Premio Campiello e il Premio Viareggio, e che venne adattato per il cinema nel 1989 con la regia di Mario Monicelli.

Per queste ragioni, legate alla struttura e alle tematiche del romanzo, aver pensato a una trasposizione per le scene è, senza dubbio, un merito di Giuseppe Dipasquale che ha dato alle parole di Berto, legate da un flusso di coscienza intimistico, una veste concreta. La visionarietà della mente che procede a ritroso seguendo stimoli involontari è diventata la visione del regista che l’ha rappresentata avvalendosi della professionalità e della ricca interpretazione di due attori molto noti, ma che possono sorprendere ogni volta in ruoli diversi, come Alessio Vassallo (conosciuto al grande pubblico per i tanti ruoli televisivi) e Ninni Bruschetta, attore e scrittore poliedrico.

Vassallo ha rivestito i panni del protagonista che di fronte al medico si confessa e riscopre situazioni e rapporti cruciali nella sua vita. Ha colorito il personaggio con la sua fisicità elegante e attraente, la voce calibrata sui diversi passaggi, l’inflessione dialettale e lo smarrimento del rimorso per la morte del padre e per la paternità non vissuta. Ci ha commosso sul finale, senza speranza, dove l’uomo si trova solo, in un rifugio ancestrale e mitico, nella Terra degli aranci, a citare i versi del Vangelo di Luca “nunc dimittis servuum tuum Domine”

A Bruschetta il compito di interpretare il doppio ruolo del medico e del padre, in uno sdoppiamento quasi naturale, secondo un cliché tanto caro a Freud che della psicanalisi fu il padre. A tratti sarcastico, a tratti professionale, a tratti duro e impenetrabile, l’attore palermitano ha fatto suo questo duplice personaggio e ci gioca con maestria di grande attore. Sibillina la battuta a proposito dell’esistenza di Dio “il Padreterno non saprei dire, ma il Superio c’è”

Insieme a loro, in scena, una compagnia di attori che incarnano le figure emblematiche della biografia di Berto, come la moglie, l’amante, il primario, la madre (Cesare Biondolillo, Lucia Fossi, Luca Iacono, Viviana Lombardo, Consuelo Lupo, Ginevra Pisani), tutti molto bravi in ruoli doppi o tripli,  convincenti in una cifra di caricatura a tratti sarcastica che il regista ha scelto per loro.

La riduzione di Dipasquale non si è limitata a scegliere una selezione di eventi principali da raccontare ma ha trovato soluzioni sceniche semplici ma emblematiche e di forte impatto. Pochi elementi di scenografia (di Antonio Fiorentino) e costumi (di Dora Argento) essenziali, illustrano la ricostruzione d’ambiente; un elemento su tutti ha arricchito l’intera impostazione scenica. Ogni passaggio nel flusso della memoria è accompagnato dal movimento di tendaggi trasparenti di un materiale che sembra celluloide bianca, che si sollevano e si abbassano come a circoscrivere spazi dentro ai quali si collocano gli episodi (l’operazione del padre, l’incontro con la prima ragazza, il matrimonio, il parto della moglie…). Ci è sembrato di seguire il subconscio del protagonista nei meandri nascosti del suo cervello, in una manifestazione surreale ma riconoscibile dei processi biologici del cervello, materia grigia e materia bianca, che copre, nasconde, ma poi svela. Così i tendaggi rivelano e nascondono in una luce soffusa -quasi buia a tratti, come è oscuro il male- le scene della narrazione che si è fatta teatrale.

In scena a Catania dal 14 al 23 febbraio.

 

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