I licei classici italiani nella guerra di Liberazione: Katia Massara «Virgilio va in montagna»
I licei classici italiani nella guerra di Liberazione: Katia Massara «Virgilio va in montagna»
«Che cosa facevamo per lottare contro il fascismo? Per prima cosa studiavamo. Leggevamo di tutto: da Croce a Labriola, da Lenin a Marx, perfino Silone, anche se c’era proibito. Ci sentivamo investiti di una missione solo per il fatto di consegnare un libro a qualcuno, per portare un messaggio o un appuntamento. E si viveva uniti da un’unica speranza: la caduta del regime.» Così testimoniava Maria Zevi, studentessa ebrea del liceo classico Umberto I di Roma. Potrebbe essere questa la chiave per capire il senso del libro di Katia Massara, ricercatrice in Storia contemporanea al DiSU dell’Unical. A lungo la storica si è occupata dell’opposizione politica al fascismo nelle regioni meridionali, ma questa volta si cimenta su un orizzonte più vasto e particolare: quello della lotta al nazifascismo da parte degli studenti e dei professori dei licei classici italiani (Katia Massara, Virgilio va in montagna. I licei classici nella Resistenza, Carocci, pp. 248, € 26). Il sottotitolo ci trasporta nel mondo dei “signorini”, gli studenti italiani che per privilegio di nascita e condizione potevano permettersi gli studi classici, chiave d’accesso prioritaria all’università. Paradossale fu che molti di questi figli della riforma Gentile, concepita per allevare i futuri quadri dirigenziali del regime, si ritrovarono ad essere critici severi del fascismo. Dopo l’8 settembre, per molti di loro combattere coi partigiani fu il naturale proseguimento di un percorso cominciato nelle aule scolastiche. Il titolo principale è ricavato dalle esperienze di Emilio Sereni e ritrae una generazione che sale in montagna portandosi appresso i loro amati libri. Commovente è la storia, a tal proposito, del sedicenne Romano Magnaldi, studente del «Chiabrera» di Savona, liceo dalla forte presenza di professori e allievi antifascisti. Col nome di battaglia «Sandokan» salì in montagna nel 1944, dove morì l’anno dopo in battaglia, a pochi giorni dal 25 aprile. In un primo momento il comandante della Divisione Garibaldi lo respinse per la sua giovane età, ma la determinazione del ragazzo era tanta che si ripresentò dai partigiani liguri nel marzo del 1945. Scrisse di lui il compagno liceale e resistente Bruno Musso: «Era stato accolto, da alcuni, con un sorriso incredulo – ché Sandokan era giovanissimo – da altri, con un lieve sorriso, ché – incredibile a dirsi – sotto il braccio, quel giovane, teneva i libri e i quaderni della scuola». La storica cosentina mette in rilievo il legame forte e sistematico tra lo studio dei classici e della filosofia con l’adesione di molti liceali alla Resistenza. Negli anni della piena dittatura caddero tre bimillenari che il regime ricordò in pompa magna: Virgilio (1930), Orazio (1935), Augusto (1937). I primi due vennero osannati come esempi di ruralismo e di intellettuale organico. L’anniversario augusteo fu messo in relazione, ovviamente, con la fondazione del nuovo Impero, rinato con la conquista dell’Etiopia. Il mito di Roma imperiale svelava, però, le menzogne del fascismo. Si prenda il caso del giovane Sereni, che, al contrario dei fascisti, coglieva nelle sontuose ricorrenze la sofferenza per le guerre civili che avevano devastato Roma. Costretto alla clandestinità trovò conforto nei classici che lo convinsero sempre più delle mostruosità del regime. Alle tematiche altisonanti e retoriche del fascismo contrappose l’amore, la sofferenza, la lontananza, le gioie del ritorno, la libertà, come gli insegnavano i testi di Platone, Catullo, Lucrezio, Virgilio, Tibullo. La vicenda di Sereni è esplicativa di un clima storico e intellettuale che poco alla volta trasformò un’intera generazione di giovani da indifferenti al fascismo ad attivi antifascisti. Accanto alle esperienze di vita, alle frequentazioni con compagni e professori anticonformisti, contarono, dunque, le letture e gli studi fatti. La paradossale genesi di questa particolare forma di antifascismo va rintracciata nella stessa riforma gentiliana dell’istruzione. La futura classe dirigente avrebbe dovuto essere selezionata attraverso studi severissimi, imperniati sugli ideali classici. La riforma, però, mostrò le prime crepe nel momento in cui, assecondando la visione del filosofo neoidealista, prevedeva la lettura diretta delle fonti e il privilegiare alcune materie su altre, come la filosofia e la storia. Dunque, se la lettura personale dei classici, poteva allontanare gli studenti dalla vulgata fascista, il colpo finale lo davano le due discipline divenute il cardine della riforma, che inducevano gli studenti più accorti alla relativizzazione e al confronto. Altro che l’assolutismo del pensiero. Salire in montagna coi partigiani o nascondersi per la lotta urbana era per loro la naturale conseguenza del percorso di studi e di riflessione sul passato. Il lavoro della Massara è da intendere sicuramente come un work in progress. Non si può certo pensare che si esaurisca in un solo volume un immenso campo di ricerca come quello qui discusso. Dopo aver esaminato le esperienze antifasciste dei licei veneti, piemontesi, lombardi, toscani, romani, il volume si chiude con «La memoria della resistenza nel cinema e nella letteratura», che offre in sintesi uno sguardo su libri e film che hanno segnato il nostro immaginario antifascista. «Virgilio va in montagna», pur con alcune pecche e qualche dimenticanza, è sicuramente un libro da consigliare a tutti coloro che hanno a cuore la difesa dell’Italia repubblicana e delle sua libertà.