I Puritani al Bellini International Contest di Catania

“Scolpisci nella tua mente a lettere adamantine: il dramma per musica deve fare piangere, inorridire, morire cantando”. Con queste parole, dopo aver litigato col librettista storico Felice Romani, Vinvenzo Bellini cercava di istruire il suo nuovo collaboratore, il conte Carlo Pepoli, esule a Parigi perché rivoluzionario, sulla scrittura della vicenda dei Puritani, quella che sarà l’ultima opera musicata dal cigno catanese.

E in un torrido sabato sera di settembre, a Catania che gli rende omaggio in questi giorni, I Puritani hanno fatto piangere, inorridire, commuovere.

All’interno del BIC ( Bellini international Contest)  è arrivato il nuovo allestimento dei “Puritani” sul palcoscenico del Teatro Massimo Bellini, su spartito dell’edizione critica a cura di Fabrizio della Seta – che ha debuttato  il 23 settembre e andrà in replica martedì 26  ore 17.30-  con la direzione del M.tro Fabrizio Maria Carminati, l’Orchestra del Bellini e il Coro istruito da Luigi Petrozziello.

Un’edizione di sorprendente bellezza nell’impostazione della regia e che si avvicina alla perfezione musicale grazie alla scelta di artisti vocalmente esperti che hanno incantato ed entusiasmato il pubblico catanese.

La regia, affidata a Chiara Muti, è partita da una intuizione argutamente intellettuale:

«Sul piano visivo adotto una cifra metafisica. L’incontro tra le due epoche si realizza in una sala vuota – forse un museo – dove le cornici dei quadri si alternano in un viaggio speculare che fa riflettere il mondo, tra Ottocento e Novecento, nella storia seicentesca dei Puritani. E’ lei stessa che spiega la sua impostazione in una intervista rilasciata a Giovanna Caggegi per  “La Sicilia”, e con queste parole ci illustra l’idea di costruire una narrazione visionaria su due piani paralleli: un’epoca contemporanea a quel 1835 che vide la prima rappresentazione dei Puritani e dopo pochi mesi, purtroppo, la morte del musicista, e l’epoca di ambientazione della complessa vicenda che ha tutti gli ingredienti del romanticismo: storia, eroi, amore. Il coro è costituito da uomini e donne vestiti di nero, a lutto, che assistono e commentano le tristi vicende di Arturo, Elvira, Giorgio e Riccardo che si muovono, e ne sono vittime, al tempo dell’Inghilterra del VXII secolo nello scontro tra   il partito dei Puritani e quello degli Stuart, dopo la decapitazione di Re Carlo I, dentro cornici gigantesche come raffigurazioni di quadri storici. (Scenografia a cura di Alessandro Camera).

L’omaggio di Chiara Muti è rivolto a Bellini in maniera palese fino all’apoteosi del finale, ma è anche rivolto al mondo dell’arte, alla pittura con precise citazioni (frammenti di dipinti si avvicendano come fondale alla scena) di Füssli e Van Dyck, intesa come quello strumento che ci permette di comprendere e di rigettare comportamenti e atteggiamenti mentali. Sempre nell’intervista citata la Muti sostiene: “Nel finale i puritani vittoriosi incendiano le cornici. Ci vedo le censure di tutti i tempi, la tracotanza di chi pensa di stare dalla parte giusta, e financo la deriva della cancel culture. Ma a spegnere le fiamme interverrà lo stesso Bellini, calando dall’alto come un deus ex machina, a ristabilire l’olimpica eternità dell’Arte

Ecco l’intuizione intellettuale che si diceva. Per fare questo ha giocato anche lei con il linguaggio visivo: il colore e la luce dominano un’azione piuttosto statica. Gli occhi dello spettatore si riempiono di fotogrammi impreziositi dall’azzurro dei costumi femminili (costumi di Tommaso Lagattolla), o di bagliori delle lance e delle spade, dal blu intenso del fondale.

Il risultato è uno spettacolo totale che lascia spazio all’espressione di voci maestose.

Un’opera musicalmente molto, molto difficile -ragione per cui viene messa in scena poco- per gli abbellimenti e gli “eccessi” vocali (alcuni detrattori di Bellini ebbero a dire)  e per essere, forse più di Norma e di Sonnambula, il luogo della melodia infinita,  in questi giorni a Catania ha trovato una rappresentazione magnifica.

Il Maestro Carminati ha condotto una direzione in perfetta armonia tra le voci e l’orchestra del Teatro Massimo che conosce bene e che guida docilmente, strumento per strumento, con la perizia che gli riconosciamo da tempo e la familiarità di un rapporto longevo e proficuo.

Le voci sono state tutte una carezza per le orecchie e lo spirito dello spettatore. Dal tenore russo  Dmitry Korchak nei panni di Arturo, voce potente ma anche struggente, al basso Dario Russo, nel ruolo di Ser  Giorgio, tonalità profonde capaci di espressioni patetiche e paterne così come autoritarie e decise, il baritono Christian Federici e il mezzosoprano Laura Verrecchia perfettamente all’altezza della complessità musicale dell’opera.

E poi Elvira, il soprano giovanissimo (ventitré anni appena) Caterina Sala ha estasiato il pubblico rendendo le difficilissime arie -composte da Bellini per fare raggiungere alla musica il sublime divino che riesce solo lui a creare-  momenti di reale misticismo vocale. La follia della Sala  “perturbante” e coinvolgente, nelle movenze convinte e incerte, nell’invocazione all’amore, al “diletto” perduto, nel racconto della sua angoscia,  riesce a compiere un miracolo nell’estensione della voce che si fa essa stessa strumento.

Vincenzo Bellini, che la regista porta in trionfo sul finale con la sua immagine più bella, i suoi riccioli biondi e lo sguardo malinconico, in questo torrido sabato sera di settembre, nella sua Catania, sarebbe stato fiero e commosso di un tale omaggio.

Il pubblico in visibilio, al grido di viva Bellini ha tributato dieci minuti di applausi.

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