PENELOPE – L’odissea è fimmina

“La nostra Penelope non aspetta più

 

Spettacolo andato in scena dal 18 al 20 settembre, al Castello Ursino di Catania. nell’ambito di Mediterrartè – Classico Contemporaneo, festival internazionale delle realtà artistiche del Mediterraneo.

Su testo scritto e diretto da Luana Rondinelli, è stata rappresentata l’epopea al femminile della grande eroina greca che da sempre incarna l’immagine della buona regina capace di attendere e amare il suo re, Ulisse. Nei panni di Penelope Ester Pantano affiancata da Giovanni Currò, Mauro Failla, Laura Giordani, Giovanna Mangiù,  e dalla stessa autrice e regista; ( voce fuori campo di Luca Ward,  scene e costumi  di Vincenzo La Mendola,  musiche di Francesca Incudine).

In quasi due ore di spettacolo viene percorsa tutta l’esistenza della donna che da bambina è costretta presto a diventare adolescente e poi donna, passando attraverso la terribile esperienza delle molestie subite dal padre. Tormentata da questo trauma, Penelope si avvicina all’età delle nozze e viene destinata al valoroso, forte, virile Odisseo che la porterà sulla sua isola, Itaca, rendendola regina di un mondo che non le appartiene.

L’Itaca immaginata da Luana Rondinelli è una terra mediterranea poco mitica ma molto vicina alla nostra Sicilia, talmente vicina che ne usa il dialetto e dà vita a personaggi caratterizzati proprio come molte figure della cultura popolare siciliana:   dalle tre misteriose donne (le tre Parche siciliane) che introducono alle vicende di Penelope, alla maga La Magnifica a Euriclea, tutte donne che affiancano l’eroina, la accompagnano nel suo percorso di formazione e di liberazione.

Rispetto al mito conosciuto e da sempre raccontato in varie forme, l’autrice ha pensato a una Penelope moderna, non oserei dire una femminista ante-litteram, ma una donna consapevole e padrona di sé, talmente padrona che dopo avere atteso vent’anni, quando Ulisse ritorna decide di partire, lei da sola, questa volta nella piena autonomia delle sue scelte.

Ester Pantano è una Penelope delicata, fanciulla, turbata da un passato doloroso ma ancora sognatrice. Nelle sue movenze, nelle sue quasi danze, una femminilità prorompente e sensuale che cresce man mano che la donna cresce e fa maturare il personaggio. Rimane qualche passaggio ancora lievemente artificioso, accademico, ma nel complesso l’emozione autentica dell’attrice colora di delicatezza la sua interpretazione.

Accanto a lei un coro di personaggi femminili (anche quando sono interpretati da attori) ben delineati nella caricatura che li avvicina alla migliore tradizione del teatro siciliano. Giovanna Mangiù è la serva quasi sorella di Penelope, mite e saggia, fa da confidente alla regina. Luana Giordani è una spumeggiante  Euriclea, la balia (personaggio tanto caro alla tradizione teatrale) affettuosa, materna ma anche donna, che la sa lunga e alla fine seguirà Penelope nella sua fuga, dopo un ragionamento, divertente e sagace, che fa a se stessa come nutrice, come serva e come donna.

Le tre Parche – bravi e divertenti, Giovanni Currò, Mauro Failla e la stessa Rondinelli-  tessono la tela dell’esistenza e del lavoro che Penelope non vuole finire in attesa di Ulisse; “cusunu e scusunu” e intanto raccontano, sono l’elemento di raccordo dei vari episodi, accompagnati da una melodia ritmata, eco di una Sicilia arcaica, che detta loro i movimenti.

 

Infine la stessa autrice e regista si ritaglia un ruolo speciale, quello della Magnifica, una sorta di oracolo alla maniera di Tiresia, ma anche lei donna con un carico di esperienze dolorose, fatte di esclusione ed emarginazione (il racconto della sua vita ci ha ricordato la biografia di Alda Merini) dalle quali è uscita saggia e maestra di vita. La costruzione di questo personaggio ha un merito preciso rispetto a tutta la pièce: quello di fare sorridere e quello di coniugare i tempi indefiniti della vicenda in direzione universale e concreta.

Suggestiva la scenografia di Vincenzo La Mendola (che cura anche i costumi), concettuale, che con pochi elementi con al centro il letto di ulivo scavato da Ulisse, rappresentano il fulcro della vita di Penelope, quello da cui lei fuggirà.

Un unico difetto nello spettacolo: ci è parso leggermente lungo, alcuni passaggi “stiracchiati” potevano essere ridotti rendendo così, nel complesso, la narrazione più snella.

Rimane di gran fascino l’intuizione legata alla femminilità di un personaggio che ci è stato sempre consegnato come il monolite della fedeltà coniugale.

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