La lupa/ Berretto a sonagli, al Teatro Massimo Bellini di Catania, dittico tratto dai testi di Giovanni Verga e di Luigi Pirandello

La Lupa: i  mezzosoprano Nino Surguladze e Laura Verrecchiain

Mara: i soprano Irina Lungu e Valentina Bilancione

Nanni Lasca: i tenori Sergio Escobar e Rosario La Spina.

Gloria: il soprano Giuliana Distefano,

Lia: il mezzosoprano Mariam Baratashvili

Maresciallo di P.S.: Vittorio Vitelli,

Pino: il tenore Pietro Picone,

Nicola: il baritono Marco Puggioni,

Salvatore: il baritono Enrico Marrucci.

Ciampa: il baritono Alberto Gazale.

Beatrice Fiorica: i soprano Irina Lungu e Valentina Bilancione

Assunta La Bella: i mezzosoprano Nino Surguladze e Laura Verrecchia

Fifì La Bella:  i tenori Sergio Escobar e Rosario La Spina

Fana: il soprano Anna Pennisi,

Delegato Spanò: il baritono Rocco Cavalluzzi.

Musiche di Marco Tutino

Direttore Fabrizio Maria Carminati, regia  e scene di Davide Livermore, scenografie digitali D-Wok, costumi Mariana Fracasso, luci Gaetano La Mela. Orchestra e tecnici del Teatro Massimo Bellini di Catania

Voleva essere un’operazione di grande innovazione, sperimentazione e novità al livello internazionale, quella del Teatro Massimo Bellini di Catania nel proporre un dittico inedito che rende omaggio ai due più grandi autori siciliani, Verga e Pirandello, con la riscrittura in termini musicali de La Lupa e Il Berretto a sonagli.

E dobbiamo riconoscere che questa scommessa, fortemente voluta dal direttore artistico Fabrizio Maria Carminati, dal punto di vista della curiosità che ha suscitato, dell’interesse e del clamore è decisamente riuscita. Consideriamo, poi, che Il berretto a sonagli è stato eseguito in prima mondiale e che anche La lupa, (sempre su musiche di Marco Tutino), già andata in scena a Livorno nel 1990 e poi a Palermo, non ha avuto, finora, molte rappresentazioni.

Si tratta di due testi molto diversi fra loro, anche se il debito di Pirandello verso la letteratura verista nella sua prima fase è evidente. La Lupa nasce come novella, inserita nella raccolta Vita dei campi e poi, dallo stesso Verga riscritta in forma drammatica per portarla a teatro e che aveva già visto due tentativi di diventare opera lirica. Nel primo caso il testo avrebbe avuto le musiche di Giacomo Puccini (ma disaccordi tra lo stesso Verga, il musicista e la casa Ricordi ne ostacolarono la riuscita) e nel secondo, nel 1948, fu musicata da Santo Santonocito, il quale si avvalse del libretto di Vincenzo De Simone. E’ il dramma della passione che non dà scampo, della condizione umana sacrificata e ridotta ad esistenza bestiale, fatta di istinti e di attaccamento alla “roba”, della contemplazione cinica della impossibilità di cambiare esiti già predeterminati.

Il berretto a sonagli nel teatro pirandelliano è il testo dove si concentra gran parte della filosofia dell’autore siciliano che riflette sulla autenticità della vita, le falsificazioni delle convenzioni, i condizionamenti di una borghesia che irrigidisce le possibilità dell’individuo in ruoli prefissati e irrinunciabili, pena la perdita delle certezze o la follia.

Nella rilettura in chiave musicale, alla quale abbiamo assistito, si sono perse entrambe le tematiche, sono state ribaltate, reinterpretate, allo scopo di sottoporre al pubblico una nuova riflessione, da rispettare per la profondità dell’intento ma, innegabilmente, discutibili.

L’ambientazione della Lupa in una città omologata e degradata degli anni 50/60, toglie la vicenda dal  contesto che nella letteratura verista è il vero protagonista dei fatti narrati –le milieu del Taine- e spiega i caratteri dei personaggi, tutti così estremi. La conseguenza più evidente è che ci troviamo di fronte a una situazione narrativa così differente che stentiamo a riconoscere il carattere dei personaggi, malgrado qualche citazione nel libretto (di Giuseppe Di Leva) molto fedele come la dichiarazione  della Gna Pina (anche il vero nome non viene citato mai) che seduce Nanni con famelico richiamo “Voglio te”. Lo stesso Nanni Lasca diventa qui prima un nullatenente che vive di espedienti, poi dopo il matrimonio con Mara, un poliziotto che vuole lasciare l’arma. Rimane così appena percepibile la sua schiavitù sensuale nei confronti della suocera. Sparisce il momento religioso della festa della Pasqua, il voto di lui, sostituito da un Natale e da una nevicata bella solo musicalmente.

Il berretto a sonagli, su libretto di Fabio Ceresa,  si allontana talmente dal messaggio di Pirandello da diventare totalmente altro: un’occasione per riflettere sulle dinamiche mafiose, sull’omertà e sulla necessità del coraggio per denunciare e allontanarsi dai ricatti e dalle connivenze. Messaggio quanto mai potente, necessario e tristemente sempre attuale, ma del quale lo scrittore Agrigentino non poteva avere nessuna contezza. Ciampa è l’alter-ego di Pirandello (come lo saranno tanti altri protagonisti dei suoi drammi), è il filosofo della teoria dei “pupi” e delle “tre corde”, il saggio che racconta dell’insegnamento ricevuto da piccolo di mettere sempre le mani avanti per non “spaccarsi la testa”, è un uomo semplice, impiegato che chiede solo di essere rispettato nel suo “pupo” di marito e trova nella follia di Beatrice l’unica possibile soluzione di fronte allo scandalo della verità svelata.

Qui è stato dimezzato il testo e ne è stata fatta una manipolazione tale da fare diventare Ciampa un boss mafioso, un potente corrotto e temuto da tutti contro il quale Beatrice, da sola e con coraggio, si schiera e denuncia il tradimento, lo scandalo, pronunciando lei le parole sulla ineluttabile follia, necessaria per dire la verità.

Ancora più stridente e fuori luogo il linguaggio del librettista che ricorre a rime che squalificano il melodramma (Ciampa fa rima con campa e zampa), facendo addirittura ricorso al turpiloquio.

Collante interpretativo delle due opere del dittico, la regia di Davide Livermore che,  da quel grande intellettuale che è, sempre attento all’attualità, ai temi del presente, ha firmato questa singolare operazione con le sue scelte e una rappresentazione scenografica immaginifica. Ricorrendo -ancora una volta, dopo l’Attila della Scala, dopo L’Elena di Siracusa, dopo la Norma qui a Catania….- alle scenografie digitali e al video mapping,  crea suggestioni emotive che accompagnano la musica e l’azione e, in entrambe le opere, aggiungono situazioni visive che sottolineano l’arrivo del dramma (i nuvoloni neri che sembrano entrare nel salotto borghese del Berretto o lo sfondo che si infuoca di rosso al sorgere della passione amorosa e della violenza sul finale della Lupa). Soluzioni  d’effetto che colpiscono il pubblico (più ingenuo), esaltate dagli effetti di luce di Gaetano La Mela e dall’eleganza dei costumi di Mariana Fracasso,  alle quali si aggiunge l’ambiguità del finale della Lupa e il richiamo alla piaga del femminicidio con le scarpette rosse esibite alla ribalta dai personaggi o il lungo elenco di donne uccise dalla mafia che scorre sul finale del Berretto. Se no fosse, però, che né La Lupa è un dramma sul femminicidio né Il Berretto a sonagli è un dramma sulla mafia. Sarebbe stato, forse, più corretto aggiungere in locandina, in entrambi i casi, “melodramma liberamente tratto” da…

E allora cosa salviamo di questa coraggiosa operazione? Senza dubbio la musica di Marco Tutino che ha dimostrato tutta la sua perizia e conoscenza della specificità operistica, della tradizione e della modernità. In entrambi i casi le contaminazioni – anche la citazione della canzone di Peppino di Capri o il riferimento alla Cavalleria Rusticana– si innestano su una partitura personale e organica dove le percussioni sottolineano la passione e i violini si dissolvono nei fiati -nel duetto Nanni-Lupa- si sente un riferimento a Puccini (Tosca), al Bernestain di West side story, a un vago sottofondo jazz;  assolutamente autonomo e melodioso è il preludio della Lupa e l’intermezzo, giustamente lungo perché deve fare comprendere il passaggio degli anni; così come toccante è la romanza del tenore sul tema del destino.

L’orchestra del Teatro Massimo Bellini, ancora una volta e una volta di più, sotto la direzione di Carminati, che ha voluto fortemente questo dittico, ha dimostrato grande coesione e maestria nel confrontarsi con una  partitura nuova, e nel consegnare agli spettatori melodie inedite. Così come tutte valide si sono dimostrate le voci, nell’una e nell’altra opera, di artisti che hanno sperimentato la loro vocalità con una partitura così innovativa e complessa.

Restiamo sempre debitori all’ente lirico catanese per il coraggio di questo spettacolo che porterà il nome del Teatro dedicato al Cigno in tutto il mondo.

In scena dal 1 al 9 marzo.

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