La dolente “Virginedda addurata” apre la stagione 2024-25 di Palco Off a Catania
La dolente “Virginedda addurata” apre la stagione 2024-25 di Palco Off a Catania
Alla fine, sulla scena nuda di «Virginedda addurata», rimangono i panni appesi dei quattro personaggi che si alternano e si intersecano nella storia che Giuseppina Torregrossa ha sceneggiato per il teatro traendola da un tremendo femminicidio perpetrato nel 2012 a Trapani. Quegli abiti costituiscono da un lato il memento di donne umiliate e soggiogate, dall’altro i fantasmi di ciò che potevano essere e non sono state: donne libere, normali e forse felici. Nella fluida regia che Nicola Orofino costruisce sul testo, sono loro le devote fedelissime in nevrotico e arrabbiato pellegrinaggio alla grotta della Santuzza palermitana, «vergine adorata» e unica spes delle loro vite mortificate.
Chiedono tutte intercessione: Maria, protagonista e vittima, una caterva di figli e un quarto già in arrivo, segnata dalla violenza domestica del marito Giuseppe, bravo anche in quella sottile dell’indifferenza e dell’adulterio, ma che lei desidera comunque riconquistare; la di lei madre, che vorrebbe invece riprendersela in casa; la figlia, sconvolta dal clima di violenza in cui vive; infine l’amante, l’altra, la «buttana», venuta anche lei a perorare i suoi diritti di amata. Egle Doria, riesce a donare a tutte loro uno spessore mirabile, variando tono, lingua, carattere, atteggiamento in un tour de force interpretativo davvero potente. Ma il concitato monologo che ognuna di loro rivolge alla Santa – in forma di prece, di richiesta di vendetta o di cosiglio – suona più come sfogo, bolo esistenziale da rigurgitare, parola che si fa carne viva e addolorata, icona delle loro vite in balia di una cultura maschilista e autoritaria e che la Santuzza non può ahimè che subire. E nel dialetto ibridato in cui si dispiega «Virginedda addurata» – prima della stagione 2024-25 di «Palco Off» – la parola della Torregrossa tesse un impianto nel quale ad aprire la vicenda è proprio ipse Rosalia (una ieratica e leggera ad un tempo Francesca Vitale), Santa però molto laica, in sciatta versione casalinga, un accenno di discreto Parkinson e una serie di lastime da snocciolare, degradata più ad una confidente che ad una beata da cui pretendere una grazia: aurtata insomma dai tempi che mutano e dalle folle delle sue devote troppo insistenti e capricciose per una come lei romita e silenziosa. La vertigine scabrosa della vicenda reale (Maria fu orrendamente assassinata dal marito con la complicità dell’amante) – è comunque alleggerita da una ironia che non scalfisce affatto la fortissima denuncia implicita nello spettacolo. «Viginedda addurata» infatti non tratteggia il rapporto tra sacro e profano nella nostra isola ma si allarga, al di là di tutti gli stereotipi su cui comunque gioca, ad una riflessione vastissima sul mondo dell’odio perpetrato verso l’universo femminile proprio perché femminile:e da “addurata” ad addolorata il passo è veramente breve.