La poesia di Antonietta Malito: all’alba di un nuovo giorno.
Da quando tu,
albero mio,
hai piantato le tue
radici nel vento,
io altro non sono
che una piccola foglia in balìa dell’inverno.
“Questa nuova creatura di Antonietta Malito credo debba essere letta nel cuore della notte, quando tutto il mondo tace e il nostro respiro batte all’unisono con i pensieri.” Dice bene nella conclusiva “Nota di lettura” Patrizia Baglione. Quanta verità è racchiusa nelle sue parole, certo la notte amplifica i sensi e le emozioni, ma non toglie nulla alla verità: il dolore è compagno della nostra vita. E chiunque si cimenti nella lettura delle poesie dell’autrice non può restare immune dal condividere la sua sofferenza per la perdita della madre. Il suo dolore, il nostro dolore, ci giunge da un piccolo paese dell’Appennino cosentino per divenire emblema della condizione umana. Scrive la Malito nella premessa a “Fino all’alba” (Bertoni Editore, pp.136, euro 15): “In queste pagine, vi invito a condividere con me questo viaggio di scoperta ed elaborazione, un intreccio di emozioni che abbraccia il dolore ma non lo esaurisce.”
Dalla Calabria ci giunge la voce di questa donna appassionata così tanto dalla scrittura da averne fatto una ragione di vita, ben al di là della sua professione di giornalista. La poliedrica scrittrice si era già cimentata nella poesia con la raccolta “Trasparente” ( Atlantide edizioni) in cui dimostra in pensieri e poesie il forte attaccamento alle sue radici. L’amore per la sua terra l’ha spinta più volte a scriverne anche sotto forma di studi storici e antropologici. In particolare sul suo luogo dell’anima, Grimaldi, oasi di pace e di serenità. Almeno fino all’irruzione del male: “Ti ho vegliata/ una notte intera./ L’ultima, prima dell’addio (…) Sorgeva l’alba,/ ma un buio profondo era piombato/ nella stanza e nella mia vita.// Tu già viaggiavi nella luce./ Io sprofondavo in una pozza di pece e fango.” Fin dal titolo entriamo immediatamente nella sfera emotiva della poetessa. La madre possedeva uno dei nomi più luminosi che la tradizione latina ci abbia lasciato, Alba, nome omen per una donna che ha illuminato in vita la strada alla figlia e ai suoi cari. La sua morte li ha lasciati nel più profondo dei dolori. Perdere una madre amata significa brancolare nel buio più profondo. Tuttavia – come scrive ancora la Malito: “… proprio in questo contrasto, in questa dicotomia tra luce e ombra, è sorto in me il desiderio di trovare un senso. Il desiderio di scoprire che, nonostante questa perdita così grande e dolorosa, l’alba possa riaccendere in me la speranza.” Seguendo questi contrastanti stati d’animo la raccolta della poetessa calabrese è divisa in due parti. La prima, quella più corposa (72 componimenti), dal titolo “Nel vuoto dell’assenza”, è una discesa nell’oscurità della sofferenza interiore, è sprofondare negli abissi del dolore, quello che ti macera e può distruggerti: “Ho visto la morte in faccia./ Era dipinta sul volto di mia madre./ Impotente ho assistito all’agonia della fine./ Poi ho ammantato di lutto ogni cosa./ Anche gli occhi e il cuore…” La seconda parte (33 poesie), “Il mio mondo salvifico”, è la rielaborazione del lutto, è l’apertura alla speranza, è uscire all’alba di un nuovo giorno: “Come gli alberi,/ danzo anch’io nel vento./ Mi abbandono al suo respiro,/ lascio che mi parli,/ che mi indichi una nuova direzione…” La straordinarietà di Antonietta Malito sta nel fatto che le sue liriche sono intrise di delicatezza, anche nel momento più doloroso non si trovano mai versi “urlati”. Espressione di una sensibilità delicata le poesie dell’autrice grimaldese sono emblematiche per tutti coloro che sanno cosa vuol dire perdere un persona amata. Non tutti, prostrati dal dolore immenso, ce la fanno. Antonietta ha trovato la sua strada di “salvezza” nell’amore per la Natura e per le piccole cose della vita.