Lo scavo dolceamaro della poesia: “Zammastra” di Giulio Di Dio

Lo scavo dolceamaro della poesia: “Zammastra” di Giulio Di Dio

Quella del siciliano Giulio di Dio è una poesia-ignizione, dire che si dilata nello spazio e nel tempo: il tempo primitivo personale, della memoria familiare e lo spazio della quotidianità, anche sentimentale, difficile e grumosa: l’uno e l’altro immediatamente declinati, nell’incipit di «Zammastra», la silloge edita da «Carta Canta», nel dialetto siciliano. Anzi simbolicamente è proprio nel dialetto, strategicamente disseminato lungo tutte le cinque sezioni, che questo dire fiammeggiante si compie e si placa: come la fioritura breve ed eccezionale dell’agave cui allude lo stesso titolo del libro (parola inventata dal siciliano «zammarra»), a segnare la fine di un ciclo nel quale le masse memoriali del passato e quelle incerte e dolorose del presente collidono per delineare un «dolore intatto, trasparente», un fragile esserci, in parte ancora da decifrare e realizzare. S’impone così nella raccolta una tensione, una propulsione poetica, esattamente disseminata – «La parola […] domani poi soffiala forte/ sparala alta nell’aria» – una vocazione dinamica (sottolineata dai moltisssimi verbi di movimento) cui si contrappone la contrazione continua tra presenza e assenza, determinando una condizione di incertezza ma anche di smania – «Giuliù, statti/ nun havi rizzettu» Giulio, stai fermo/ non hai pace!») – ossimoricamente espressa anche nella sezione che si intitola appunto «Mappe per l’assenza», innervata nella presenza oracolare dei nonni e della loro parola con la vertigine gutturale del dialetto della natia Niscemi e duramente segnata dalla consapevolezza di un amore nel cui tormento il poeta azzarda la nostalgia di una ricomposizione. Queste placche si ricompongono solo attraverso la forza della poesia – «e scriverti è fare dentro il mio corpo/ un dolce scavo, con pazienza/ ricostruirne l’impronta» – una poesia sempre vigile su una personale «scena del disastro» continuamente rivisitata. Anzi solo l’atto stesso dello scrivere si fa ristabilimento: solo sulla pagina accade quello che sarebbe potuto essere in un intimo e utopico multiverso, nel quale oltre alle presenze e agli eventi anche le parole mutano e fioriscono. In questo modo la voce di Giulio Di Dio si radica in un altrove possibile sul quale «resta potente l’agave/ assolata nel ritorno/ quando prima di morire fiorisce/ e sbuca la maestà verticale della zammarra».

Giulio Di Dio, «Zammastra», Carta Canta, Forlì, 2025, euro 12,00

 

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