Rosso Malpelo nella cava della Ghiara rossa

Malpelo “Era sempre cencioso e sporco di rena rossa, ché la sua sorella s’era fatta sposa e aveva altro pel capo che pensare a ripulirlo la domenica. Era conosciuto per tutto Monserrrato e la Carvana, tanto che la cava dove lavorava la chiamavano la “cava di Malpelo” e cotetsto al padrone gli seccava assai.”

Nella celebre novella di Giovanni Verga, inserita nella raccolta Vita dei campi, scritta nel 1878, l’ambientazione fa riferimento a una miniera di sabbia o cava di rena; anche se lo scrittore non ne indica mai precisamente il luogo, è risaputo che nel catanese erano presenti queste cave dove lavoravano molti bambini sfruttati, i carusi.

 

Le cave di ghiara e di rena rossa, formatesi dalla colata lavica del 1669,  son presenti in gran parte del sottosuolo catanese, una, in particolare, è stata riscoperta nella zona dell’Antico Corso, in via Daniele. E lì sotto si trovano ancora i segni del lavoro di quei carusi, minuscole gallerie che si intrecciano formando un labirinto ancora non del tutto esplorato.

Nascosta sotto strati di incuria e oblio, si trova Cava Daniele, una cava di ghiara rossa, a pochi passi dalla città (oggi inglobata nel reticolo cittadino) La cava è stata usata durante la Seconda Guerra Mondiale, come  rifugio antiaereo   per i bombardamenti.

Abbandonata dopo la Guerra,  era diventata ricettacolo di macerie e spazzatura, è stata  riscoperta e ripulita, grazie al  lavoro congiunto di Officine Culturali, Comitato Popolare Antico Corso, il Centro Speleologico Etneo che hanno segnalato alla cittadinanza il sito, nel tentativo di un suo recupero.

Dalla volontà di fare conoscere questa realtà così misteriosa e per questo così affascinante, è nata l’iniziativa di riproporre lo spettacolo Rosso Malpelo messo in scena  il 25 e 26 luglio al Bastione degli infetti,  nell’ambito del progetto Il Lavoro Sotterrato a cura di C.T.S. Centro Teatrale Siciliano in collaborazione con l’  Associazione Comitato Popolare Antico Corso e inserito nella programmazione di Palcoscenico Catania – La Bellezza senza confini 2025, iniziativa promossa da Assessorato Cultura del Comune di Catania e finanziata dalla Direzione Generale Spettacolo del Ministero Italiano della Cultura – MIC.

La drammaturgia e la regia sono di Nino Romeo, la voce narrante di Graziana Maniscalco; l’edizione ha riproposto la rilettura che debuttò a Montedoro, vicino le zolfare, nel 2017

Prima dello spettacolo, gli esperti che si  stanno occupando della Cava Daniele, hanno  illustrato caratteri storici e geologici del sito, restituendo agli spettatori la memoria di uno dei tanti luoghi sconosciuti della città e promuovendone la conoscenza. Sono intervenuti Ciccio Mannino di  Officine Culturali, Salvatore Castro del  Comitato Antico Corso  e Franco Politano   del Centro Speleologico Etneo.

Nell’allestimento Nino Romeo ha seguito l’assetto narrativo della novella, mantenendo fede alla letterarietà del testo di Verga e affidando alla voce, alla presenza scenica e al rigore, artistico e intellettuale, di Graziana Maniscalco la resa teatrale.

L’attrice si presenta nel circoscritto spazio scenico con un abito nero e un bastone per sorreggersi, come una nobildonna siciliana dell’Ottocento. Inizia il suo racconto recitando le parole del Verga con lo stesso piglio giudicante con cui lo scrittore catanese ha raccontato la storia del piccolo caruso, senza lasciare mai spazio alla compassione, al sentimento, alla pietà. Come Verga, nel suo linguaggio asciutto e mimetico rispetto al narratore che ha scelto, restando fedele alla teoria dell’impersonalità naturalistica, ha offerto al lettore un resoconto dei fatti e le inevitabili conseguenze, così l’attrice ha interpretato il determinismo sociale e antropologico che è il vero sottotesto di questo piccolo capolavoro del Verismo.

Nella sua postura altera, nel movimento del bastone con pomo a forma di testa d’animale, nell’incedere claudicante, la Maniscalco sembra condannare Rosso, quasi marcando la negatività del personaggio, reso tale dalle circostanze, dall’ambiente, dalla famiglia, dalla miseria, secondo un principio di necessità che non lascia scampo. Modulando la voce con il timbro scuro di una drammaticità senza melodramma, ha dato prova di grande maestria sul piano tecnico e di padronanza e condivisione con impostazione della regia tesa a non tradire Verga ma a darne una interpretazione personale.

Rifiutando ogni romanticismo, Romeo si è servito molto di interventi musicali -creando un melologo- tratti da Metamorphosis di Philip Glass. L’affabulazione dell’attrice ha interagito con il suono del pianoforte, di per sè magnetico e capace di rendere potentemente il senso dell’inesorabile.

La scenografia naturale, il nero della pietra lavica dei resti del Bastione degli infetti, la penombra che lasciava un fascio di luce solo sull’attrice in scena, hanno fatto il resto,  rendendo cupa e drammatica l’atmosfera.

 

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