«Solo che amore ti colpisca.» Appunti dall’isola plurale tra poesia e fotografia

«Solo che amore ti colpisca.» Appunti dall’isola plurale tra poesia e fotografia

Ideata e curata da Helga Marsala per Riso. Museo regionale dArte Moderna e Contemporanea di Palermo, l’esposizione è stata inaugurata il 27 giugno 2024 presso tre saloni del Real Albergo delle Povere, a Palermo e si è conclusa il 13 settembre 2024. Il titolo della mostra cita unintensa lirica del poeta Salvatore Quasimodo e vede esposte le opere di Adalberto Abbate, Salvatore Arancio, Francesco Bellina, Carmelo Bongiorno, Iole Carollo, Gianni Cipriano, Danilo Currò, Gianni Cusumano, Francesco De Grandi, Alessandro Di Giugno, Andrea Di Marco, Daniele Franzella, Stefania Galegati, Silvia Giambrone, Adriano La Licata, Ignazio Mortellaro, Pietro Motisi, Carmelo Nicosia, Giulia Parlato, Lia Pasqualino, Turi Rapisarda, Sandro Scalia, Fabio Sgroi, Studio Descrittivo di Base, Nerina Toci, Sergio Zavattieri. L’immagine fotografica dialoga con la poesia e i tre saloni diventano il luogo in cui il verso poetico e la fotografia convivono. Immagini contemporanee parlano una pluralità di linguaggi, grazie anche ai contributi di Letizia Battaglia, Giorgio Bertelli, Tano Cuva, Giuseppe Leone, Uliano Lucas, Melo Minnella, Walter Mori, Federico Patellani, Angelo Pitrone, Ferdinando Scianna. Le opere sono esposte seguendo un fil rouge molto chiaro. La Sala I è dedicata al tema dell’origine, il suo mistero, connesso al concetto del seme e della radice, il fascino dell’archeologia, i frammenti, i reperti si mostrano in tutta la loro bellezza. Come archivisti e critici viene restituita un’immagine frastagliata e condensata allo stesso tempo. Memorie di segni primitivi e accostamenti lirici dialogano, nell’opera di Adalberto Abbate Epilogo un busto sventrato genera un’immagine seduttiva, all’interno della quale natura e storia combaciano. Una consumazione che accomuna natura, scienza e storia, nella quale lo spettatore può perdersi e ritrovarsi, porsi interrogativi e trovare risposte. In un continum narrativo la seconda sala mostra attraverso varie forme di interpretazione, trattazione e trasmissione, Paesaggi. Acque e terre, fuoco, vento, cosmo, scienze e vulcani. La vita pulsante degli elementi, l’intreccio di vita e morte, l’energia infinita della natura e il sentimento della malinconia attraversano le opere esposte. Il tema è declinato anche all’interno della vita dei vulcani, delle rocce e dei minerali, mappature celesti, astri, che sono legate all’uomo e al contempo sono base dell’universo. Nelle fotografie di Alessandro Di Giugno Verde, magenta e nero o ancora Confine di Sergio Zavatteri, si coglie una certa malinconia, collegata al cosmo. Immagini che seducono e parlano allo spettatore, di strazianti incendi e allo stesso tempo di energia pulsante, che è la vita stessa, che prolifera e torna imperterrita e vincitrice, vivida, fervente, vibrante. La mostra prosegue nella Sala II, titolata Civis, polis, demos. Dedicata alla dimensione pubblica, politica, con richiamo ai gesti, ai luoghi e alle ombre del potere, alla piazza e alla contestazione, ai simboli collettivi e a quelli nazionali. La seconda sala risulta probabilmente essere la più politica, attraverso le opere degli artisti esposti riusciamo a cogliere quell’energia creativa che è alla base della creazione, che è caotica e disobbediente allo stesso modo. Viene percorsa una linea più seduttiva che porta il visitatore a riflettersi in se stesso, e quel riflesso è lo specchio della disobbedienza, ispiratrice o repressiva. Psyche e corpi si intrecciano, guardano alla dimensione introspettiva del singolo per divenire massa in movimento. No future di Adalberto Abbate mostra un collage onirico, tra presagi di guerra e oppressione, tra miraggi di trincee e paesaggi distorti, ogni idea di futuro è sospesa, così anche Soglia bandita di Adriano La Licata si incentra sul corpo, relitto, derelitto, oggetto tra gli oggetti, il corpo come linea, curva o retta è anche strumento di mappatura. Un corpo che si mimetizza con la sua Palermo, degrada e periferica. Il corpo come strumento politico, che accomuna la visione degli artisti esposti in questa sala, così come la città, luogo all’interno del quale si intrecciano relazioni e che può diventare rotta per un destino migliore.  Così le opere di Adalberto Abbate Playing with Death o An African and his Death dream of landing in Europe, che raccontano di vicende drammatiche, immagini di ragazzini africani intenti a giocare a palla con un teschio. In questa seconda parte si racconta la vicenda drammatica delle migrazioni, che sono condizione connaturata all’umano, per necessità di sopravvivenza o per libertà di cambiamento.

Ma L’uomo è in costante cammino, nessuno è un’isola in mezzo al mare, piuttosto può essere arcipelago, orizzonte verso il quale approdare. È bello parlare di migrazioni guardando verso terre solcate da milioni di passi, come in Out of Africa di Iole Carollo, o ancora osservare le storture del continente africano attraverso le fotografie come ha fatto Francesco Bellina in Oriri. Bellezza e umanità si confrontano, i soggetti del continente africano sono creature senza tempo, letterarie, mitologiche, incarnazioni di una vicenda universale, che è stata di tutti i popoli e di tutti i tempi. In conclusione della mostra la terza sala, la più lirica, è dedicata al senso del tempo, nutrimento della memoria e al contempo sostanza della fotografia. Quello che resta. Album, polvere, memorie. Ci si chiede cosa resti nell’eterno fluire del tempo? Dei luoghi segnati da terremoti, abbandonati e attentati? La fotografia può essere il tramite attraverso il quale vengono restituite le memorie. Ma cosa resta mentre continuiamo a dimenticare? Le macerie di ieri e di oggi sono sospese nel tempo, fotografie che restituiscono un territorio, presenze, ambienti, album di fotografie, scene di famiglia, vecchi archivi, case polverose, volti del passato. Luoghi e persone sono parte di una storia che sembra ripetersi all’infinito.

Le fotografie di Pietro Motisi, Sicilia fantasma, raccontano di borghi abbandonati, addormentati, in una Sicilia dal sapore antico. Si arriva sino al 1992 con di Gianni Cipriano, sei fotografie esposte che richiamano alla memoria la furia esplosa il 23 maggio di quell’anno, al chilometro 4,733 dell’autostrada A29, all’altezza di Capaci, nella quale perdono la vita il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta. L’artista trasforma in plumbei still life gli ammassi di lamiere restituiti dall’esplosione, facendone un monumento fotografico dall’immane potenza comunicativa. Di straordinaria forza comunicativa sono le fotografie di Sandro Scalia che raccontano il terremoto del Belice del 1968, dal titolo Terremoto Belice e la stessa forza la ritroviamo nell’intimità delle cartoline d’epoca rinvenute dall’artista Iole Carollo in L’amore al tempo del’22. In un’antica cassettiera, a casa di suo zio, l’artista ritrova questi preziosissimi reperti, scambiate tra due amanti nascosti dietro nomi di fantasia. Perse nella memoria del tempo dei primi anni del 1900 anche le opere esposte di Carmelo Nicosia Identità sottratte che mostrano una sequenza di dieci immagini di donne, detenute con diversi capi d’accusa, compresa la follia e le attitudini sessuali. La mostra parte dalla creazione, dall’archetipo, attraverso quegli elementi naturali come terra, fuoco, acqua, vento, e scienze naturali che volgono lo guardo verso terre lontane, fatte di uomini e sogni, memorie, civitas e corpi. Naufragi e naufraghi sono parte di quelle memorie, perse nel tempo e lontane nello spazio, che solo la fotografia può restituirci. « Le opere visive – racconta la direttrice del Museo Riso, Evelina De Castro e le opere letterarie, nate secondo un proprio autonomo linguaggio, in mostra acquisiscono senso dal ritrovarsi abbinate, così da significarereciprocamente anche laddove per forma e stile fossero definibili astratte. Dallinterpretazione dei geroglifici egizi agli emblemi gesuitici, il tema testo e immagine” è costante nella storia della cultura. In un tempo e una latitudine a noi più prossimi, dalla rivista Paragone (1950) al Gruppo 63, costituitosi a Palermo nel 1963, dallarte concettuale alle ricerche più attuali, il tema continua a stimolare critici, storici, curatori, artisti, con incursioni e ibridazioni. In tale continuum la mostra propone un percorso che vede il curatore/critico darte mescolare immagini e testi, la cui nuova identità consiste nellessere due parti di una sola».

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