“Stelle meccaniche”, il romanzo distopico di Alessia Principe
Provate a immaginare un pianeta Terra devastato da un disastro di proporzioni apocalittiche: l’implosione di una stella artificiale, Meti, che avrebbe dovuto garantire energia eterna e invece ha prodotto un buco nero che ha risucchiato buona parte delle terre emerse. Provate a immaginare una casta di potenti, gli Arcolai, che da due secoli domina questo disastrato pianeta e che ha fatto del talento il principale strumento di discriminazione fra gli esseri umani, per cui chiunque ne sia sprovvisto non è altro che mera forza lavoro, o, nella peggiore delle ipotesi, un corpo destinato a fornire pezzi di ricambio da trapiantare ai più fortunati, vale a dire ai talentuosi. Provate a immaginare i ricordi delle persone non come concetti astratti ma come ammassi entropici cristallizzati, denominati Resti, che fluttuano in un cielo nel quale il sole non è più visibile e le stelle sono meccanismi fasulli. Immaginate delle imbarcazioni che solcano questi cieli allo scopo di “pescare” i Resti, che costituiscono ormai l’unica fonte di energia ancora sfruttabile. Sappiate però che pescare i ricordi e trasformarli in energia significa privare le persone delle proprie memorie e condannarle a un’esistenza sempre più opaca e più vuota. Provate a calarvi in una siffatta realtà distopica e avrete un’idea del mondo concepito dalla giornalista e scrittrice Alessia Principe nel suo nuovo romanzo, Stelle meccaniche (Moscabianca edizioni), che giunge a cinque anni di distanza dal suo libro d’esordio, Tre volte (Bookabook, 2018), e promette di risucchiare in un buco nero anche coloro che lo leggeranno. Un buco nero tanto spaventevole quanto ammaliante: quello del romanzo fantascientifico sorretto da un solido impianto narrativo, da una raggiunta maturità stilistica e da un nutrito background di letture. La storia – che difficilmente il lettore resisterà alla tentazione di “proiettare” visivamente nella propria testa come fosse un film – si dipana attraverso una serie di flashback e di flashforward, dando vita a un racconto corale che vede al centro l’amicizia fra due ragazzini, Giosuè e Tito, entrambi in attesa di un trapianto, e le azioni di Miriam, una coraggiosa dottoressa il cui agire ha il potere di influenzare concretamente il corso degli eventi. Il tutto inserito in una trama complessa nella quale il Tempo non è il semplice sostrato cronologico in cui si svolgono i fatti ma, potremmo dire, un vero e proprio “personaggio”. Molti nomi propri presenti nel libro sono non casualmente di origine biblica, cosa che trova un suo senso profondo se pensiamo a una tormentata umanità che tenta disperatamente di rifondare sé stessa dopo una catastrofe non dissimile dal Diluvio Universale narrato nella Genesi, il primo libro dell’Antico Testamento. Altri elementi, quali la presenza di uomini donne e bambini sfruttati come pezzi di ricambio, potrebbero rievocare al lettore più accorto reminescenze letterarie quali i cloni creati per donare i propri organi agli umani malati nel romanzo Non lasciarmi (2005) del Premio Nobel per la Letteratura Kazuo Ishiguro, che nel 2010 ebbe anche un’omonima trasposizione cinematografica diretta da Mark Romanek. Il lettore cinefilo potrà invece facilmente rievocare, dietro la desolazione di un cielo coperto da nubi perenni e di città ingrigite da una pioggia incessante, il ricordo della Los Angeles di Blade Runner, costantemente avvolta dalla nebbia prodotta dall’inquinamento, che offusca il sole e genera una pioggia continua. Stelle meccaniche ha l’indiscutibile merito di coniugare una terminologia (fanta)scientifica che attinge a piene mani dal mondo della fisica quantistica con una scrittura piana e scorrevole, in cui la precisione tassonomica del lessico, lungi dall’appesantire la lettura, contribuisce a fornire credibilità e spessore alla storia narrata. Immaginare il futuro è da sempre una prerogativa dell’essere umano, una prerogativa portata ai massimi livelli dalla letteratura e dal cinema, che spesso ne hanno fornito visioni distopiche da intendere non tanto come mera evasione fantastica ma come denuncia – sociale, intellettuale, politica – e come campanello d’allarme dinanzi alle aberrazioni di un progresso incontrollato e incurante dell’etica. Nel caso specifico il romanzo di Alessia Principe porta alle estreme e più nefaste conseguenze i temi del talento e della meritocrazia, trasformandoli in subdoli strumenti di discriminazione e di controllo delle masse, tali da perpetuare sotto forme nuove e sempre più insidiose gli inveterati concetti di dominio e subalternità, inducendo così il lettore a riflettere e a interrogarsi su questioni in fin dei conti non troppo peregrine. A volte, sembra dirci Alessia Principe, basta davvero poco perché un’utopia degeneri nella più terrificante delle distopie.