Dopo la prima edizione del 2009, è tornato in scena, alla Sala Verga del Teatro Stabile di Catania, lo spettacolo Terra matta, interpretato e diretto da Vincenzo Pirrotta, tratto dall’omonima biografia (involontaria) di Vincenzo Rabito.
Insieme al noto interprete palermitano tre attori poliedrici che vestono diversi ruoli, Lucia Portale, Alessandro Romano, Marcello Montalto e tre musicisti che suonano dal vivo strumenti diversi: Luca Mauceri, (compositore delle musiche), Mario Spolidoro, Osvaldo Costabile. La produzione è dello stesso Teatro Stabile e del Teatro Biondo di Palermo.
Vincenzo Rabito (1899-1981), un semianalfabeta di Chiaramonte Gulfi è stato uno dei narratori più originali e atipici e del Novecento. Ha raccontato la propria vita nel dattiloscritto Fontanazza, che il figlio Giovanni, nel 1999, mandò all’Archivio diaristico nazionale di Pieve di Santo Stefano e che venne pubblicato nel 2007, col titolo di Terra matta (Einaudi) a cura di Evelina Santangelo. Così, la vita raccontata di Rabito è divenuta letteratura.
Un’opera monumentale, forse la più straordinaria tra le scritture popolari mai apparse in Italia, sia per la forza espressiva di questa lingua a metà italiano e a metà siciliano, sia per il talento narrativo con cui Rabito è riuscito a ricostruire, da una prospettiva assolutamente inedita più di mezzo secolo di storia d’Italia.
Rabito era un bracciante siciliano, che a un certo punto della sua esistenza, si è chiuso a chiave e ogni giorno, dal 1968 al 1975, combattendo contro il proprio semi-analfabetismo e ha digitato su una vecchia Olivetti la sua autobiografia. Ha scritto, una dopo l’altra, 1027 pagine, senza lasciare un centimetro di margine superiore né inferiore né laterale, separando le parole, una per una, con un punto e virgola, nel tentativo di raccontare tutta la sua «maletratata e molto travagliata e molto desprezata» vita.
Imprevedibile, umanissimo e potente, Terra matta ci racconta le peripezie, le avventure, i dolori, i sotterfugi di chi ha dovuto lottare tutta la vita per affrancarsi dalla miseria, per salvarsi la pelle, nel mattatoio della Prima e poi della Seconda guerra mondiale, per garantirsi un futuro inseguendo il sogno fascista del grande impero coloniale, “per fare solde”, per sopravvivere alla fame del secondo dopoguerra; per trovare una posizione stabile col matrimonio, per portare i figli a un riscatto sociale.
E’ riuscito egregiamente in questa vera impresa Pirrotta, confezionando uno spettacolo con tutti gli ingredienti necessari per intrattenere, divertire, commuovere, fare riflettere. La vicenda di Rabito è uno dei possibili paradigmi per conoscere la storia d’Italia nel Novecento, con i grandi eventi, i drammi di due guerre mondiali, un regime totalitario, la distruzione fisica e morale del Paese, la ricostruzione, le nuove contraddizioni, dal singolare punto di vista dell’ultimo degli ultimi che è involontario eroe di un’epopea antropologica.
Nella trasposizione teatrale ha molto spazio la musica, eseguita dal vivo, che crea una connotazione ritmica, a tratti di commento, a tratti di canto vero e proprio. Il racconto è sempre declinato nella forma della litania o di una cadenza segmentata nella voce accompagnata da cenni di danza o da una corale pantomima nella quale si muovono anche gli altri attori. Di grande impatto la lunga sequenza dedicata alla Prima guerra mondiale, la carneficina, con i movimenti fisici che incarnano la parola e le danno corpo. Così tanto commovente è la scena della morte della madre, interpretata -insieme ad altri ruoli- da Lucia Portale, che in un abbraccio tenero e definitivo, consegna al figlio un messaggio valoriale e pieno di amore.
La cifra del grottesco scelta dal regista è evidente nella realizzazione di personaggi di contorno che diventano maschere, ben riconoscibili, a volte comiche, a volte satiriche (il fascista, il carabiniere, il catanese, la prostituta…), e in questo è emersa la particolare maestria di Marcello Montalto, Alessandro Romano e la stessa Portale.
Su tutti l’attore Vincenzo Pirrotta. Autentico mattatore che non ha più niente da dimostrare -lo abbiamo apprezzato nelle tragedie greche, in Pirandello, nel dramma satiresco, nel teatro di parola, al cinema- se non regalare al pubblico ogni volta una prova diversa, una nuova sorpresa. Qui è una fonte inesauribile di energia e vitalità, articola una parola che si fa a tratti scioglilingua, a tratti poesia. Canta, danza, gesticola, emette suoni onomatopeici e colorisce le cadenze. Emana umanità nello sguardo e affida agli spettatori un messaggio di vita e una lezione di teatro, autentica.
A completare questo insieme le luci, curate da Antonio Sposito, conferiscono atmosfera e suggestione d’ambiente molto eleganti e seguono lo svolgersi della vicenda costruendo un’ ideale scenografia. Altrettanto curati anche i costumi di Francesca Tunno.
Rabito è un filosofo come nella più alta tradizione popolare lo sono stati i vecchi contadini, i saggi nonni. E ci lascia un motto, un pensiero di disincanto e amore che Pirrotta ha incarnato: “Terammo la vita, terammo la vita!
Lo spettacolo sarà in scena fino al 13 di Aprile.
Foto di Rosellina Garbo