TURANDOT, il “disgelo della principessa” nell’edizione del Teatro Massimo Bellini di Catania.

Per celebrare il centenario della morte del musicista toscano Giacomo Puccini, il Teatro Massimo Bellini di Catania, nell’inaugurazione della nuova stagione 2024 ha scelto l’ultima opera di Puccini, la Turandot rimasta incompiuta nel 1924 per causa di quel tumore alla gola che aveva colpito l’artista e che non perdonò.

Bisogna riconoscere al Teatro Massimo, nella sua gestione affidata al Sovrintendente Giovanni Cultrera e alla Direzione artistica del M.tro Fabrizio Maria Carminati, che da anni, soprattutto dopo la chiusura forzata per la pandemia (come non ricordare la bellissima Carmen messa in scena pochi giorni prima della chiusura generale nel 2020), sta operando, una dopo l’altra, scelte di qualità e spessore culturale e artistico che l’ente lirico catanese non raggiungeva da tempo. Onore al merito per un lavoro e un impegno costante che raccoglie i suoi frutti richiamando a fruire del bel canto un pubblico sempre più numeroso, che può apprezzare artisti di grossissimo calibro e registi competenti ma rigorosi nell’approccio alla più sacra delle forme teatrali.

Per questa Turandot di apertura e di celebrazione il cast selezionato ha visto nel ruolo di Turandot Daniela Schillaci/ Anastasia Boldyreva, in quello di  Calaf Angelo Villari/ Marco Berti, Liù Elisa Balbo / Cristina Arsenova,  Timur George Andguladze / Gianfranco Montresor, Ping Vincenzo Taormina, Pang Saverio Pugliese Pong,  Blagoj Nacoski . Direttore d’orchestra Eckehard Stier; regia di  Alfonso Signorini, scenografia di  Carla Tolomeo; costumi di  Fausto Puglisi. Allestimento del Festival Pucciniano di Torre del Lago, e Opera nazionale Georgiana di Tiblisi.

La regia di Alfonso Signorini riprende l’allestimento già proposto nel 2017 al Festival Pucciniano di Torre del Lago e nasce da un approccio rispettoso e corretto del libretto e delle intenzioni del musicista che nei suoi spartiti dà sempre tutte le indicazioni necessarie alla messa in scena. Signorini, lo ha dichiarato in diverse interviste, non ha voluto offrire la “sua” Turandot ma quella di Puccini, studiando le indicazioni del maestro e rendendole manifeste.

Si è poi voluto proporre al pubblico catanese una “novità” rispetto alla tradizione che riguarda il finale lasciato incompiuto dal Maestro: è stato scelto il finale riscritto da Luciano Berio nel 2001.  Laddove Alfano aveva ripreso gli appunti di Puccini e   li aveva arricchiti con sedici nuove battute, ridotte nella versione definitiva a un solo accordo seguito da pochi colpi di timpano, Berio ha imbastito un esteso episodio sinfonico a partire da questa pagina. operando una trasformazione più interiorizzata del personaggio eponimo. Alla luce di questo confronto, l’impressione che abbiamo ricevuto da questa regia è che la chiave di lettura sia stata fornita proprio dal suggerimento che il finale ci lascia. La principessa di “gel” di Signorini non è la crudele e algida tiranna assetata di sangue e di vendetta ma una donna tormentata dalla necessità di mantenere fede al giuramento fatto per riscattare la sacralità della purezza oltraggiata nella sua antenata che lei intende vendicare; principesca ma non divina,  non ieratica e granitica, che si avvicina a Calaf e lo guarda negli occhi, che si inginocchia ai piedi dell’imperatore e che, alla fine, si scioglierà nel bacio di Calaf e avrà perfino un gesto di misericordia verso Liù morta, lei sì per vero amore. L’interpretazione di Daniela Schillaci ha consentito questa inclinazione, la sua voce suadente -che aveva da poco commosso lo stesso Teatro catanese con Violetta nella Traviata messa in scena a dicembre- sulle note di Puccini si è fatta più potente, come una lama che squarcia e sovrasta le altre voci e l’orchestra. Si è prestata al gioco rendendo una Turandot che lentamente “si sgela”, torna ad essere umana e riceve anche il consenso dell’ava che le appare in sogno e la libera dalla necessità.

Molte altre scelte di regia ci hanno colpito, alcune più evidenti, come il corteo sacro delle voci bianche che dalla platea porta piccole lune luminose  nell’inno  “perché tarda la luna?”, le coreografie appena accennate del primo atto e dell’ultima scena,  il momento della nostalgia di Ping, Pong e Pang che ricordano il loro luogo natio all’inizio del secondo atto,  certi movimenti lievi di Liù verso Calaf e verso la principessa o l’apparizione del fantasma dell’antenata.  La cifra di questa regia è stata decisamente la delicatezza, anche in un’opera che celebra la potenza, di narrazione e musicale. L’atmosfera di fiaba, che i librettisti   Giuseppe Adami e Renato Simoni  e il musicista avevano riscoperto dal testo di Carlo Gozzi  scritto nel ‘700, è stata pienamente restituita al pubblico catanese, anche grazie alla poetica scenografia   di  Carla Tolomeo (qui riprese, come i costumi, da Leila Fteita)  e ai costumi splendidi di  Fausto Puglisi.

Il vero valore aggiunto,  opera dopo opera  degli ultimi cartelloni, quindi anche in questa, è l’orchestra del Teatro Massimo che sotto i diversi Direttori che si sono avvicendati sul podio catanese dimostra sempre una straordinaria coesione, intesa e artisticità che ci lascia estasiati, sempre, anche questa volta, sotto la direzione del Maestro  E. Stier   che, a dire il vero, ha lasciato percepire una certa rapidità, quasi un’accelerazione in alcuni passaggi (alla prima non ha nemmeno dato spazio alla, pur timida, richiesta di bis al tenore dopo il “Nessun dorma”).

L’organico orchestrale della partitura prevede la presenza di molti strumenti in più rispetto lo standard, in particolare l’esotismo musicale concepito da Puccini si arricchisce di campane tubolari, xilofono, rullante, timpani, organo, celesta e due arpe (alcuni strumenti allocati nella barcaccia adiacente al golfo mistico); la musicalità di Turandot, moderna e sincopata, sinfonica e lirica rende l’opera complessa da dirigere e da eseguire. In questa edizione ogni nota ha vibrato fino in fondo, anche per merito del Coro diretto dal Maestro Luigi Petrozziello e dal coro delle voci bianche diretto da Daniela Giambra.

Sulla potenza di questa orchestra alcune voci hanno fatto fatica ad imporsi; non quella del soprano protagonista, di cui si è detto, ma quella del tenore, Angelo Villari, tecnicamente corretta ma non abbastanza timbrata,  così come quella del soprano lirico  Elisa Balbo, Liù,  limpida ma ancora acerba, e nemmeno il basso  George Andguladze, Timur. Grotteschi ma non patetici, capaci di riempire la scena e anche di modulare melodie e commenti recitativi Ping, Pong e Pang nelle voci di Vincenzo Taormina, Saverio Pugliese e Blagoj Nacoski.

Aspettiamo con grande curiosità, dopo il balletto Il Lago dei cigni, la prima messa in scena in versione lirica della Lupa di Verga e del Berretto a sonagli di Pirandello musicati da Marco Tutino.

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