Un comico tra le rovine della scuola: “La scuola non serve a nulla” per Palco Off
La scuola è una tragedia. O una commedia esilarante. O forse entrambe le cose. Dipende dal grado di sopportazione personale. Una cosa pare certa: “La scuola non serve a nulla”. Almeno “questa” scuola. E a sentire pure Antonello Taurino autore, interprete dell’omonimo spettacolo che la rassegna “Palco Off” ha accolto al centro Zo di Catania. Un “one man show” gradevole e a tratti esilarante anche se Taurino, specie nel finale, con la sua esuberanza rischia di strafare. Taurino – prof anche lui – riflette e smonta tutti i luoghi comuni dell’istituzione scolastica, del “nobile magistero dell’insegnamento”, dell’insopportabile retorica del prof-missionario disposto a sacrificare il suo tempo senza considerare orari e stipendi.
Le dolceamare riflessioni di Taurino – “docente precario di giorno e attore altrettanto precari di sera” – ce le fanno apparire per quelle che sono: bufale propinate da decenni e che servono a inficiarne la funzione, il ruolo e l’autorevolezza. Taurino lo dice facendoci ridere, ma di un sorriso amaro, tra le figure mitologiche di ogni tempo scolastico: bidelli saggi, dirigenti-automi e, su tutti, una pletora di alunni-tipo davvero impareggiabile: rom, immigrati, sociopatici, cardiopatici, bulli… e insieme a tutto l’abbecedario delle serissime ridicolaggini della scuola italiota. E la sua è una ricognizione che partendo dalla “buona scuola”, attraversa impavida gli ossimori del burocratichese didattico istituzionale – “competere collaborando” ci è irresistibilmente parsa la miglior esemplificazione – per arrivare all’esperienza concreta in quelle “classi pollaio” in cui vegetano e si agitano i suoi alunni: “un ibrido tra Franti e Hannibal Lecter” in cui è costretto ad un adattamento multiculturale dei “Promessi sposi” e nella quale è ovviamente impossibile garantire una “didattica personalizzata”. Taurino ci è piaciuto di più nelle parodie, nei rovesciamenti, nelle incursioni sapide del mondo-scuola, nel politicamente scorretto, tra obiettivi minimi, dislessici, bes, dad e tutto l’armamentario spaventoso degli acronimi. Taurino si lascia pure scappare che spesso “innovare è banalizzare”, per poi chiedersi, a proposito dell’edilizia scolastica (ferma agli anni ’60), se “cade prima il soffitto il governo che dovrebbe sistemarlo…” Nella seconda parte lo spettacolo offre pure qualche spunto più edificante che lascia sottintendere una scuola in rovina su cui, tra gli altri, incombe ciò che Andrea Bajani, in un suo quasi omonimo testo (“La scuola non serve a niente”) definiva con una “parola tremenda”, “rinuncianesimo”: degli alunni da una parte, pronti a tirare i remi in barca e dall’altro, degli insegnati attaccati ad un mondo scolastico ormai superato. AntonelloTaurino ha in buon gusto di non suggerirne nessuna se non quella fondamentale della relazione umana, con tutte le sue contraddizioni, sfoderando un divertentissimo rap sulla vita di Leopardi che ancora ci ronza nelle orecchie e che rende Taurino un “profattore” simpaticamente inattendibile. D’altra parte da un attualmente precario che si è laureato con una tesi su Carmelo Bene che cosa vi aspettavate?