Un Sindaco è per sempre: “Il Sindaco del rione Sanità” secondo Martone
Permettete mi presento forse in un modo un po’ strano
il mio inizio e la mia fine il nome Antonio Barracano.
Quando arrivo si spalancano le porte
anche se poi non sanno che il mio incubo costante
è stato farmi forte…
Ralph P.
Una Napoli lontana dalla patina accesa della metropoli cine-televisiva cui siamo abituati, evocata piuttosto da uno spazio metaforico per esprimere una realtà di sopraffazione e di violenza. E’ sufficiente la forza espressiva, fisica (animalesca quasi) e mentale, di un personaggio come Antonio Barracano, il protagonista de “Il Sindaco del rione Sanità” di Edoardo De Filippo che il perfetto meccanismo registico di Mario Martone ha portato sul grande schermo (la sceneggiatura è tratta integralmente dall’omonima commedia in tre atti messa in scena dallo stesso Martone nel 2017). E’ lui, infatti, a ricomporre, sullo sfondo dello sfarzo minimalista della sua villa di lusso tutta la ferocia camorristica che insanguina da anni San Giovanni a Teduccio, il sobborgo dove la vicenda è ambientata e del cui NEST – Napoli Teatro Est – Martone ha utilizzato gli attori indipendenti.
Una camorra crudele, organizzata, seppur a conduzione familiare, guidata da nuovi e giovanissimi boss, “saggiamente” gestita e travestita da istituzione “super partes” nella persona di Antonio Barracano (Francesco Di Leva offre una interpretazione davvero potente), sindaco-satrapo di un popolino marginalizzato anche geograficamente, di poveracci e di ghettizzati “senza santi” e dei quali si occupa senza ricorrere alla Legge che non sia quella emanata dalla sua accorta saggezza: “l’ignoranza – dice – è un titolo di rendita.” Un “sindaco” che riesce a mantenere l’ordine appianando i contrasti, a spegnere le intenzioni più estreme, a mantenere una pax camorristica avvalendosi pure di Fabio Della Ragione (Roberto De Francesco), il medico che si occupa di curare le ferite degli scontri e delle sparatorie, sempre duramente polemico col Sindaco, sempre in procinto di un viaggio in America che non compirà mai, ma sempre in crisi di coscienza: “abbiamo rischiato la galera, io e voi – dice stizzito al Sindaco – non una ma milioni di volte, per agevolare una classe di uomini spregevole e abietta”. Anche se la scrittura edoardiana aveva delineato un personaggio crepuscolare, un semi-eroe che si muove tra valori e disvalori, un settantenne ancora energico (e che probabilmente lo stesso Edoardo aveva incontrato), Martone pur delineando un giovane boss prestante ed inesorabile, tormentato interiormente dal daimon della sua giovinezza omicida, si ricongiunge idealmente alla profezia che lo stesso Edoardo De Filippo aveva messo in bocca al Gennaro Jovine di “Napoli milionaria”: “la guerra non è finita… non è finito niente.” Già: la Camorra è lì, è ancora lì. Ma nel film la Napoli “gomorriana” è separata anche geograficamente dallo svolgimento della vicenda, asciugata tra le pareti di casa del Sindaco, ai piedi difficili da raggiungere del Vesuvio: scindendosi quasi Barracano tra la grandezza travagliata di un nuovo Innominato e la subdola diplomazia di una quasi irraggiungibile Gertrude.E quando Napoli si manifesta è solo quella suburbana e periferica: raccordi stradali, cavalcavia, sopraelevate e tangenziali che si rapprendono poi improvvisamente all’interno della casa nel rione Sanità, dove tutto ha il suo epilogo. Martone mantiene sempre la dimensione e la tensione teatrale, accentua la fisicità dei personaggi, che si parlano vicinissimi, che si sfiorano e si battono con gli sguardi e con i corpi sottolineando una perenne tragedia, immanente sulla loro pelle e su quella di un territorio martoriato. E i due corpi che confliggono su tutti sono quelli del Sindaco e di Arturo Santaniello (l’asciuttissimo Massimiliano Gallo): l’etica (personalissima) che non si avvale della giustizia da un lato, dispensata come giusta, condivisibile addirittura: “l’ommo è ommo solamente quando non è testardo. Quando capisce ch’è venuto il momento di fare marcia indietro e la fa”; l’onesta forza-lavoro di Santaniello dall’altro, self-made-man ormai arricchitosi ma che ha estromesso dalla sua vita il figlio Rafiluccio, deciso ad ucciderlo. Memore del suo giovanile peccato di hybris Barracano si assume allora il compito di una mediazione che gli sarà però fatale pewr mano dello stesso Arturo. Se lo scontro pare incentrarsi tra l’ideologia retriva del Sindaco mascherata di conciliante virtù, opposta alla borghese e cittadina honestas (ma non troppo) di Santaniello “grossolano, ma gradevole”, il film di Martone apparentemente muovendosi tra analisi e cronaca, privilegia certamente la prima, investendo la vicenda con la forza del linguaggio, della forza dirompente del dialetto napoletano e anche di una incalzante colonna sonora (Raffaele Buonomo, in arte Ralph P., vincitore del Leoncino d’Oro al Festival di Venezia, ricama un rap mordace e ossessivo) e riporta Eduardo – come lui stesso ha dichiarato – “alla comunicazione di oggi spogliandolo di ogni artificio retorico con un piccolo cambiamento sul finale, strappando quel velo che Eduardo adoperava per far apprezzare Barracano al grande pubblico che aveva in tutta Italia: nel mio film nel futuro non ci sarà un mondo migliore, una Napoli pacifica”. Quel mondo “meno rotondo ma un poco più quadrato” purtroppo, deve ancora venire.