Gli atti (im)puri di Pier Paolo. A cento anni dalla nascita di Pasolini
Il nostro vuole essere un piccolo e assai parziale ricordo del grande intellettuale italiano che nacque a Bologna il 5 marzo del 1922 e fu ucciso al Lido di Ostia (Roma) il 2 novembre del 1975.
E’ una sera di settembre del 1949. La guerra è terminata da quattro anni. Una festa di paese. Il luogo è Ramuscello, vicino a San Vito al Tagliamento. Il paese della madre Susanna, Casarsa, è a pochi chilometri. Si festeggia Santa Sabina, la patrona. Il ventisettenne Pier Paolo Pasolini arriva coi suoi amici, tutti in bicicletta, per divertirsi. Sulla pedana si balla, e intorno si beve. Pier Paolo si guarda intorno, cerca compagnia, maschile. A quel tempo Pasolini insegna a Valvasone in una scuola media, è attivista del partito comunista, è un intellettuale conosciuto nell’area che va da Pordenone a Udine. Sulla pista da ballo incontra un volto conosciuto, è Giuseppe Zengarli, che è in compagnia dei fratelli Sovran, suoi coetanei. Pasolini li desidera, li invita nel prato vicino per mangiare uva. Egli chiede al cugino Nico Naldini, anche lui omosessuale, di accompagnarlo, ma lui non accetta. Anni dopo Naldini racconterà che nel 1943, sotto i bombardamenti, Pier Paolo aveva ricevuto la sua iniziazione sessuale da parte di Bruno, un ragazzo che era a fare i bagni con i suoi amici sulle sponde di un laghetto. I due si erano appartati nel granturco. A questo incontro ne erano seguiti altri, sempre “libidinosi e violenti”, per desiderio del ragazzo. Il mese dopo i fatti di Ramuscello, la voce comincia a circolare. viene raccolta dal brigadiere Scognamiglio, che scrive: “E’ accaduto un fatto scandaloso. Quattro ragazzi hanno masturbato un individuo.” Il clima non è per nulla buono, si stanno creando correnti di forte ostilità in un contesto difficilissimo. Alle elezioni del 18 aprile del 1948 il Fronte Popolare è stato sconfitto; l’emblema di Garibaldi che univa socialisti e comunisti è ammainato. Il governo di coalizione nazionale, che ha portato l’Italia fuori dal fascismo è definitivamente tramontato. In Friuli e in Veneto, regioni contadine e tradizionaliste, i democristiani hanno trionfato, i comunisti sono sotto tiro. Soprattutto uno come Pasolini, segretario di sezione, attivissimo nella propaganda e negli interventi pubblici. Di cui ora si viene a sapere – dopo le voci che da tempo circolavano – che è anche un insegnante omosessuale. Il preside della sua scuola, divenuto ora parlamentare, dice a Naldini che Pasolini deve smetterla di militare tra i comunisti o perderà il lavoro. Pier Paolo ha già scelto: “diventare felici è un dovere”, scrive, citando Andrè Gide, di cui ha letto L’ immoralista e La porta stretta. Viene, intanto processato. La sentenza giunge nel gennaio del 1950. Pasolini, Zengarli e il più grande dei Sovran sono condannati a tre anni di reclusione. La pena è condonata per indulto. Prima del processo il PCI di Udine lo aveva sottoposto nel ottobre del 1949 a procedimento disciplinare. Esito? Espulso per immoralità dal Partito. Dopo il processo, di nascosto, in una alba di fine gennaio, Pasolini scappa con la madre per Roma. E’ la reazione all’ostilità dei concittadini, ma anche alla violenta reazione del padre Carlo Alberto, ennesimo episodio di un dissidio familiare molto più vecchio e profondo. Carlo Alberto Pasolini era un militare di carriera, discendente da un ramo cadetto di una nobile famiglia romagnola. Era stato fascista fino all’ultimo, per ragioni innanzitutto nazionalistiche. Come maggiore aveva combattuto in Africa, dove gli inglesi lo avevano catturato, confinato in Kenia vi era rimasto fino al 1947. Per lui rientrare in Italia, a Casarsa, che non amava, era come tornare in prigione. Inoltre, la morte violenta dell’altro figlio, Guido, costituiva un trauma e un punto di forte attimo con Pierpaolo. Il fratello minore di Pasolini era un resistente delle formazioni Giustizia e Libertà, con nome di battaglia Ermes, viene ucciso a Porzus nel 1945 in una strage compiuta dai rivali partigiani comunisti. Così scriveva Guido al fratello nel 1944: “Pier Paolo Carissimo: (…) ti metto senz’altro al corrente della nostra situazione come si presenta alla data di oggi 27 novembre. (…) Si riorganizza la brigata: in breve tempo raggiungiamo i 600 uomini nella vallata Attimis-Subit. Si entra in contatto con i mandanti delle 2 brigate Garibaldi che fiancheggiano il nostro schieramento: si forma la divisione Garibaldi-Osoppo, si firma un patto di amicizia con gli sloveni che, slealmente hanno cominciato la propaganda slovena nel territorio da noi occupato. (…) In quegli stessi giorni giunge una missione slovena inviata da Tito: si propone l’assorbimento della nostra divisione da parte della Armata slovena: ci fanno capire fra l’altro che qualora facessimo parte dell’esercito sloveno eviteremmo il disarmo. Il comandante di divisione Sasso (un garibaldino) tentenna, il vice comandante Bolla (Osoppo) pone un energico rifiuto (…) I commissari garibaldini (la notizia ci giunge da fonte non controllata) hanno intenzione di costruire la repubblica (armata) sovietica del Friuli: pedina di lancio per un la bolscevizzazione dell’Italia!! è bene che tu sappia com’è la situazione anche perché ho bisogno se non altro dei tuoi consigli. Ti bacio con grandissimo affetto. Guido.” I funerali si tengono il 21 giugno 1945. Pierpaolo segue il feretro – in vestito chiaro – e per l’occasione compone un elogio funebre, nel quale fra l’altro afferma: “Io per mio fratello posso dire che è stata la sorte del suo corpo entusiasta che l’ha ucciso e che egli non poteva sopravvivere al suo entusiasmo. Ora, gli ideali per cui è morto, il suo dolcissimo tricolore, se lo hanno rapito in un silenzio che non è ormai più nostro. E con lui tutti i suoi eroici compagni. E solo noi, loro parenti, possiamo piangerli pur non negando che ne siamo orgogliosi, pur restando convinti che senza il loro martirio non si sarebbe trovata la forza sufficiente a reagire contro la bassezza, e la crudeltà e l’egoismo, in nome di quegli ideali per cui essi sono morti.” In una lettera del 21 agosto 1945 indirizzata all’amico poeta Luciano Serra, Pasolini così ricostruisce la vicenda: “essendo stato richiesto a questi giovani, veramente eroici, di militare nelle file garibaldino-slave, essi si sono rifiutati dicendo di voler combattere per l’Italia e la libertà; non per Tito e il comunismo. Così sono stati ammazzati tutti, barbaramente.” Come spiegare, allora, questa apparente contraddizione. Lui comunista, quando l’amato fratello è stato ucciso proprio dai comunisti? Così è scritto nei documenti del Centro Studi a lui dedicato di Casarsa del Friuli: “ Nella scelta comunista è decisiva la sensibilità per il mondo popolare che proprio negli anni del dopoguerra si consolida e si arricchisce. Le circostanze della morte del fratello Guido rappresentano invece una difficoltà da superare, pur essendo Pier Paolo convinto che l’episodio di Porzùs sia stato un evento eccezionale. Egli vede il comunismo come l’unica via per una nuova cultura, fondata sui valori umanistici e sull’interpretazione morale dell’esistenza.”
Fonti:
M.Belpoliti, Vita di Pasolini, in Atlante della Letteratura Italiana, vol, III Einaudi
E. Siciliano, Vita di Pasolini, Mondadori.
Guido Pasolini, in Wikipedia.
http://www.centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it