Scritture, Visioni & Immaginazioni
Angiluzza, la protagonista, è una donna che si trova improvvisamente sola, abbandonata dal marito e costretta ad occuparsi delle due figlie piccole.
Nel racconto della Torregrossa questo evento non determina una reazione drammatica ma, dopo il primo smarrimento, una volontà di reagire, una necessità di riscoprirsi e di rinascere. Così diventa commerciante sfruttando una sua personale competenza e passione: quella della cucina. Apre una “putia” nel suo paese e vende prodotti tipici siciliani e cucina per gli avventori e i turisti. Paese siciliano, cucina siciliana, donna siciliana, passione siciliana.
Così questo romanzo ci offre una rivendicazione della femminilità, quella vera, non cerebrale, non ideologica, ma la più autentica. Un ritratto sincero e aperto di una donna che cerca il piacere, che libera il desiderio e la sua origine e la vive serenamente, senza tabù, senza veli. Il desiderio di Angiluzza è un istinto naturale che la scrittrice (ginecologa di professione, quindi conoscitrice del corpo delle donne) esalta innocentemente e fa diventare motivo di vita, movente esistenziale ed estetica dell’esistenza. Lei assaggia la vita a poco a poco, scoprendone i piaceri e assaggia i corpi, il suo per primo e il cibo come strumento di piacere e conoscenza.
Come in altri romanzi della stessa autrice( uno su tutti il suo capolavoro Manna e miele ferro e fuoco), il percorso di formazione e maturazione della protagonista passa dall’erotismo più esplicito ma sempre elegante, mai morboso, mai banale, e dal gusto, dal piacere del cibo. Alla maniera di Isabelle Allende e del sua Afrodita, la scrittrice palermitana affianca ai capitoli del romanzo le ricette che appartengono alla vita di Angiluzza, alla sua famiglia, ricette che si tramandano di generazione in generazione, che lei fa diventare un’arma di seduzione, un momento di condivisione e di amicizia, un piacere totalizzante ed esclusivo.
Il romanzo è un manuale di cucina siciliana, un percorso tra ingredienti semplici dal sapore forte e dolce, profumati ed energetici, afrodisiaci e irresistibili. Tra un cuos cuos e una caponata, le sfince di S.Giuseppe e le cassatelle, il biancomangiare e la zucca in agrodolce, il lettore apprezza le prelibatezze della cucina siciliana e scopre i segreti del cuore e del corpo di una donna che racconta di sé e della sua famiglia, svelando segreti e intessendo una sensualità che sa di sale e di vita.
Non manca un momento di serietà, di riflessione nel romanzo, quando si racconta della dottoressa che prende il sole sugli scogli e che tutti chiamano “l’amazzone”, perché le avevano tolto un seno per un tumore. Questo tema tanto caro alla scrittrice (ricordiamo soprattutto Il conto delle minne) fa capolino anche qui per ricordarci fino in fondo cosa sia la femminilità e come possa esistere anche nella mutilazione, anche nella malattia, dalla quale si guarisce, si rinasce.
Da questo speciale romanzo, già composto in forma di monologo interiore, il regista Nicola Alberto Orofino ha tratto un testo teatrale per l’associazione Madè, che la spumeggiante Egle Doria ha portato sulle scene, per la seconda volta a Catania, nella cornice incantata del Lido dei Ciclopi ad Acitrezza.
Un’ attrice e un regista che collaborano da anni sempre con grandi risultati sul piano dell’innovazione e della ricerca hanno dato vita a uno spettacolo movimentatissimo anche se la Doria è apparentemente sola sulla scena. Apparentemente perché una coralità di voci la accompagna, Roberta Amato, Alessandra Barbagallo, Francesco Bernava, Grazia Cassetti, Luca Fiorino, Alice Sgroi e Francesca Romana Vitale, come voci fuori campo, dialogano con la protagonista o declamano, come fossero odi di Pablo Neruda, le ricette del testo e caricano di grande sensualità anche la semplice dicitura “pomodori maturi” o “mandorle pelate” o “capperi dissalati” “zucchero”, “peperoncino”… Per un orecchio catanese attento è anche divertente riconoscere queste voci nascoste.
L’operazione è magnificamente riuscita, per due ragioni: la sapiente riscrittura del testo che è stato rispettatissimo, solo reso “visibile” dalla trasposizione di Orofino che ha saputo mantenere tutto il colore della lingua stratificata della Torregrossa. La seconda ragione è Egle Doria, attrice poliedrica, capace di appassionare, divertire, commuovere, fare pensare, cantare, ballare, coinvolgere con tutta se stessa, la sua voce, la sua bellezza, gli occhi e il cuore in evidenza.
Diventa Angiluzza ed è felice di sposarsi e di ricevere le confessioni, anche erotiche, di vecchie zie; rimane sola ed è una donna in preda alla paura e alla solitudine; reagisce e si costruisce un nuovo mondo, un mondo che si popola di personaggi e che lei ama, in modi diversi. La Doria si muove, respira, racconta, trema, ride, ama, gode con sincerità e purezza di gesti, voci e sguardi.
Una spettacolo delizioso frutto di sensibilità e umorismo, allegria e sana sensualità.
LOREDANA PITINO