Una conversazione ossimorica: intervista a Tano Lamorte, protagonista del primo romanzo pubblicato dalla casa editrice Cosmia, “Ossimoro sorridente”
a cura di Francesca Fretti (l’autrice) e Maristella Bonomo (l’editor)
Prima di lasciare la Sciculla, la sua isola d’origine, una terra vulcanica e nera, per trasferirsi in Sguizza, un’isola ventosa e glaciale, il giornalista Fosco Gargarozzo seduce Fanìa e poi l’abbandona. Non sa però che Fanìa è sacra e il sacrilegio che lui compie chiama un demone a incarnarsi. Oxymoros, o Tano Lamorte, risale dal cuore di lava fluida del vulcano come un demone in carne ed ossa. In completo gessato, con un papavero che spunta dall’occhiello, per sua missione e ammissione, deve devastare di infelicità la vita di Fosco, di Ambrosia, sua moglie, e delle donne che discenderanno da loro – Robinia, Fosca, e Moth – scavando con il male oscuro dell’assenza e della separazione. La maledizione però si trasmuta attraverso le generazioni e compie il suo viaggio in un mondo misterioso, che lega indissolubilmente le due isole e la Fabbrica del Fumo, un impero che ambisce a un controllo mentale di massa attraverso il tabacco delle sigarette.
Signor Tano Lamorte, lei è venuto al mondo – in questo mondo pianeta terra – chiuso tra le pagine di un libro, Ossimoro sorridente, il 16 settembre 2022, per la casa editrice Cosmia. Ha deliberatamente scelto questo giorno per manifestarsi come fenomeno letterario?
Non ho scelto io, forze più grandi di me sono in gioco, io ne sono la manifestazione, mi affido alla mia natura, al compiersi di ciò che si deve compiere. M’inchino alla sincronicità, alla magia. In quale altro giorno sarei potuto diventare libro se non quello del compleanno dell’uomo a cui il libro è dedicato? In questo mondo pianeta terra il mio destino in quanto libro è intrecciato al destino di un altro scrittore, Francesco Cannarozzo, conosciuto con molti pseudonimi, e ogni volta che si parla di me, si parla anche di lui.
Cosa pensa del titolo, Ossimoro sorridente, che ci introduce alle pagine in cui, chiamato dal fondo di un vulcano, da un’incandescenza lavica, lei si fa corpo, cammina, saltella, sfila papaveri dall’occhiello del suo abito gessato, apre delle lunghe ali, cucina, beve vermouth, risponde quando deve, induce incubi e forse impara anche a essere umano (al proposito che effetto le fanno gli esseri umani)? Questo titolo è anche un epiteto?
È un epiteto ed è la mia natura. Ossimoricamente se io sorrido tu ti spaventi, quindi se voglio essere gentile sto serio. E per quanto riguarda gli umani li trovo divertenti e complicati, fastidiosi nel loro inconsapevole emanare che a lungo andare mi ha intaccato. La lava solidificata è un materiale poroso.
Qual è il suo vero nome? Cosa significa?
Nel libro si parla di me così:
[…] l’entità daimonica di tipo Oxymoros, conosciuta con il nome di Nagababa, fu risucchiata dentro a quell’involucro di lava solidificata, prendendone agilmente possesso e acquisendo l’attributo di Thanatos.
Il mio nome dichiara la mia natura, la mia origine che sta nel mito, e la mia missione una volta incarnato.
Perché ha scelto proprio Francesca Fretti, di scorrere e plasmarsi attraverso i suoi occhi chiari, le sue dita sottili, modellarsi attraverso le sue parole, la sua immaginazione, e la lingua italiana?
È lei che mi ha chiamato, che mi ha visto in questa forma che ho assunto e mi ha descritto con le sue parole. Per esempio:
Fosco entrò dalla porta trafelato. Corse in stanza a salutare Ambrosia, trovandola che dormiva la baciò piano e andò a cercare sua figlia. La trovò sul divano, dormiva, tra le braccia di Tano.
L’essere non aveva il solito aspetto, era una creatura palesemente misteriosa e inquietante ora, l’abito gessato pareva essersi liquefatto e le sottili linee bianche serpeggiavano in arabeschi luminosi sul corpo nero del mostro. Era evidente che stesse accudendo sua figlia con una sorta di amorevolezza demonica.
Fosco andò a sedersi di fianco a Tano e si rese conto che il suo corpo irradiava un calore accogliente.
Il demone stava facendo da incubatrice alla sua bambina.
Con suo stesso stupore, Fosco si commosse.
Tano non sorrise e gli passò la bambina.
Ha creato un mondo per farmi vivere e potermi trasformare. Ha fatto per me quello che io nel libro faccio per le donne della famiglia che infesto. Ma sì, deve anche essere stata scelta, i segni erano presenti. Le hanno dato il nome di suo nonno e come lui aveva la compulsione a inventare storie e a scriverle. Quello che in lei ho subito riconosciuto io è il potenziale oscuro che le ho visto dentro, la predisposizione alla discesa nei regni bui dell’inconscio, la disponibilità ad accogliere l’incubo come salvifico.
La lingua italiana, per quanto diversa alle due latitudini, è ciò che accomuna i luoghi a cui è legata la mia Autrice, la Sicilia all’estremo sud e la Svizzera italiana all’estremo nord del territorio italofono. È una lingua che si presta all’amore, così come all’orrore, e la mia storia si muove tra questi due estremi.
Cosa vorrebbe dire alla sua autrice?
Alla mia Autrice direi che mi piace quando m’immagina, anche adesso che il libro è stato pubblicato, quando si sintonizza su di me e sorride alla mia fedele presenza dietro la sua spalla sinistra. Siedo con lei mentre scrive, nella sua testa discute con me le idee filosofiche alla base del suo nuovo romanzo. Mi chiama quando fuma vicino al fuoco nel camino. Le direi che mi piace che mi tenga ancora per lei, che a volte faccia fatica a mandarmi nel mondo… per tanto tempo sono stato solo suo. Le direi grazie, sorridendo appena.
Quindi lei e Francesca siete ancora legati…
Siamo legati e lo saremo sempre. Lei dandomi al mondo mi ha realizzato come libro e io ho l’ho manifestata come scrittrice. Prima, entrambe le nostre essenze erano nascoste, siamo una il daimon dell’altro.
Si potrebbe ipotizzare che ci siamo immaginati a vicenda, che ci sia un piano parallelo in cui sono io ad aver scritto la sua storia. Come si chiede Fosca, una delle donne da me infestate: Chi sogna? Chi vive? Chi scrive?
E cosa vorrebbe dire alla sua editor?
Ah, la mia Editor! Creatura implacabile dallo sguardo saettante, con maestria stregonesca ha compiuto l’incanto sulle parole della mia Autrice, mi ha preso da quel luogo che apparteneva solo a lei e mi ha reso visibile e compiuto in ogni dettaglio, pronto per questo mondo. Per me ha inventato parole antiche che risuonassero con la parlata della sua terra, che è così simile alla mia. Anche a lei direi grazie, con un piccolo sorriso.
Cosa direbbe delle donne della sua “vita”? Ambrosia, Robinia, Fosca, Moth…
Non direi niente, le prenderei una a una tra le braccia e le ali e danzerei. Quattro giri di danza e il quinto tutti insieme un saltarello indemoniato da far tremare le pagine del libro.
Impara il signor Tano Lamorte tutte le volte che qualcuno lo legge?
Quando mi leggono imparo me stesso, come risuono in chi mi legge. Scopro che c’è chi sogna campi di papaveri e chi si trova a specchiarsi nel mio mostruoso volto di ossidiana. Imparo che chi si addentra nell’intrico della mia storia ne viene mosso nel profondo e so così che anche io mi sono compiuto. Sono lava che si è fatta carne che si è fatta racconto che si è fatto libro che si è fatto simbolo. Mi sono archetipizzato.
Quali sono i suoi progetti per il futuro, oltre l’ultima parola del libro? Pensa di voler ripetere un’esperienza simile?
Per ora i miei progetti sono risuonare dentro chi mi legge, attivare piccole catarsi, risvegliare figure mitiche inconsce.
Non mi dispiacerebbe da parola diventare immagine, non penso di ritornare come racconto scritto, non della stessa autrice almeno. Se altri volessero scrivere di me, potrei scoprire di avere fatto altro nella vita, oltre che infestare la famiglia Gargarozzo. Sarebbe molto divertente.
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credits: immagine di Ares Fretti