Il femminino mistico: “La Papessa”
La «H» di haeretica, spicca lì sulla sua fronte, come un terzo occhio. E’ una donna: una diversa, uno spirito libero. E sta per salire sul rogo. E’ il settembre del 1300: pochi mesi prima la Papessa, Maifreda Pirovano, così si chiama, aveva addirittura celebrato il pontificale pasquale come seguace di Guglielma di Boemia, oblata dell’Abbazia di Chiaravalle. E’ raro assistere a «spettacoli» trasversali, che sono in grado di spiazzare ogni definizione. E’ il caso de «La Papessa», scritto e interpretato da Elena Mazzon con l’adattamento e la regia di Giulia Bocciero, che il Fringe Catania Off Festival ha presentato negli spazi di Fabbricateatro. Sulla nuda scena Elena Mazzon affronta questioni profondissime e apparentemente lontane nel tempo con una simpatica leggerezza, sfumata anche d’ironia ma fedele al contesto storico in cui si inscrivono: lo straordinario rinnovamento religioso dal basso che caratterizzò la Chiesa del XIII secolo e le figure carismatiche di una mistica e di una sua discipula che fin troppo semplicisticamente potrebbero essere definite proto-femministe: Guglielma di Boemia e Maifreda, “un fuoco che brucia lentamente”.
Elena Mazzon in poco meno di un’ora di monologo riesce a restituircene lo spessore umano e religioso coniugando, per bocca di un’anonima io narrante (anche lei eretica per ammissione), in una Milano “capitale eretica”, le immagini terribili dei Flagellanti e quelle intransigenti degli Umiliati, la leggerezza pop dell’amica Sibilla e la melliflua dialettica dell’Inquisitore – quasi un anchorman medievale, sornione e ruffiano – che processa la guglielmita Maifreda, lungo un doppio e triplo binario interpretativo nel quale si spezza l’iter della consueta rappresentazione attraverso il coinvolgimento diretto del pubblico, chiamato ora a fare pubblica ammenda delle sue colpe, ora a intonare inni, ora pure a patire un processo. In realtà “La Papessa” va al di là di un semplice biopic su quelle figure straordinarie piuttosto sottolienea come queste mulieres religiosae riescono a spezzare le catene di un secolare ruolo cieco – mogli e madri – per cercare e partecipare il loro senso della fede, la loro ricerca della verità. Tale utopia – Guglielma è “Spirito fatto carne nel sesso femminile”; il contatto diretto con le Scritture; il sacerdozio femminile – sarebbe stata purtroppo spazzata via (addirittura le stesse spoglie di Guglielma, sepolta nell’Abbazia di Chiaravalle, vennero date al rogo insieme alle altre guglielmite) e normalizzata dalla Chiesa ma attesta come Guglielma e Maifreda “vicaria in terra della divinità femminile”, così come tantissime altre donne, cercassero Dio senza la mediazione maschile, avvalendosi del potere della scrittura, del potere della parola e di una eccezionale forza interiore capace di esprimere uno spirito indagatore che riesce a conquistare uomini e donne di ogni ceto e condizione. E a piantare il seme di un futuro non dogmatico nel quale la Mater possa finalmente sedere accanto al Padre.