«L’ultima strega. Una storia vera dalla Calabria del XVIII secolo» di Emanuela Bianchi
«L’ultima strega. Una storia vera dalla Calabria del XVIII secolo» di Emanuela Bianchi
L’Ultima strega. Una storia vera dalla Calabria del XVIII secolo di Emanuela Bianchi, attrice e antropologa, uscito nel mese di luglio per i tipi di Oligo Editore ricostruisce la vera storia di Cecilia Faragò, l’ultima donna a subire un processo per stregoneria nel Regno di Napoli. Cecilia era una donna analfabeta ma benestante – possedeva dei terreni – che, rimasta vedova, venne accusata da due preti avidi, desiderosi di appropriarsi dei suoi possedimenti, di aver causato, tramite arti stregonesche, la morte di un terzo sacerdote. A prendere le difese della donna sarà un giovane ma brillante avvocato che riuscirà a dimostrare l’innocenza di Cecilia, mettere i due preti di fronte alle loro responsabilità, e, portando il caso fino alla corte di re Ferdinando IV, indurrà il sovrano ad abolire il reato di stregoneria in tutto il suo regno. Ma perché Cecilia Faragò fu vista come una strega? Perché Cecilia era senza dubbio una donna libera e emancipata, per quell’epoca, e in quanto tale rappresentava un modello di donna anomalo e fuori dagli schemi. Era rimasta vedova ma non pensava minimamente di risposarsi, com’era abitudine fare all’epoca quando si restava vedove in età ancora relativamente giovane e c’erano proprietà da amministrare, anzi si chiedeva per quale motivo non potesse essere lei in prima persona ad occuparsi della gestione di tali beni. Inoltre, pur essendo analfabeta, Cecilia non era una donna senza cultura, conosceva infatti le proprietà medicinali delle erbe e le usava per curare le persone che si rivolgevano a lei. Sapeva praticare l’aborto, quindi tornava utile alle donne del suo paese che andavano da lei per rimediare clandestinamente a qualche loro errore o leggerezza, salvo poi essere le stesse che la biasimavano in pubblico. Da tutto questo appare chiaro che per la società di quel tempo una donna così fuori dagli schemi rappresentasse un’anomalia a cui era necessario porre rimedio. In questa storia, che negli ultimi anni ha ispirato anche tesi di laurea soprattutto nelle Facoltà di Giurisprudenza e Scienze della Comunicazione, come Emanuela Bianchi ci racconta nel suo libro, agiscono non pochi pregiudizi, inganni, false credenze e superstizioni. Siamo nel XVIII secolo, nell’anno 1769, e il paese scenario degli eventi è Soveria Simeri, piccolo centro del catanzarese che oggi rievoca annualmente la vicenda. L’ultima strega racconta sostanzialmente una storia, per giunta vera, di soprusi e angherie ai danni di una donna, un tema ancora oggi, purtroppo, molto attuale. Colpisce il fatto che a raccontare tali storie, prima ancora di altri ambiti di studio e di ricerca quali la storia o il giornalismo, siano la letteratura, il teatro, il cinema… in altri termini il mondo dell’arte. Prima ancora che nel libro L’ultima strega, infatti, Emanuela Bianchi ha raccontato la storia di Cecilia Faragò in un’opera teatrale, La magara, vincitrice del Premio della Critica Gaiaitalia 2014 al Roma Fringe Festival. La storia di Cecilia Faragò ci conduce nella Calabria della seconda metà del Settecento, in un contesto aspro, arcaico, selvaggio, per molti versi primitivo, a tratti ancestrale, in cui le donne appartenenti alle classi popolari erano relegate a un ruolo doppiamente subalterno, tanto in famiglia quanto in ambito sociale. La vita quotidiana era caratterizzata dal lavoro dei campi che scandiva, attraverso i suoi vari momenti (semina, mietitura, vendemmia, raccolta delle olive…) il ritmo delle stagioni, e dalle funzioni religiose. Questa donna del popolo, con la sua tenacia e il suo coraggio, con il suo rifiuto di piegarsi agli stereotipi, con il suo sfidare le convenzioni sociali, ha fatto tremare il potere della Chiesa che da tempo immemorabile esercitava in quelle terre un forte condizionamento economico, sociale e culturale perpetuato nei secoli attraverso strumenti di pressione e di repressione. Le accuse rivolte a Cecilia, se da un lato erano frutto del desiderio della Chiesa di impossessarsi del suo patrimonio, dall’altro rappresentavano la volontà da parte del potere ecclesiastico di continuare a esercitare sulle persone un controllo socioculturale. Cecilia nella sua diversità, era un elemento sovversivo, rappresentava un pericolo e una minaccia e come tale andava riportata nei ranghi. Il meccanismo per farlo è quello perverso che il Potere mette in atto in questi casi: manipolazione delle prove, ricerca di funzionari compiacenti, corruzione dei testimoni, uso della povertà come strumento di controllo e di prevaricazione. Quello che la sua comunità non perdonava a Cecilia era la scelta di voler restare sola, il rifiuto di risposarsi, il sottrarsi a una legge maschile e maschilista. Alla luce di tutto questo e in base ai parametri che usiamo oggi per inquadrare, comprendere e definire determinati fatti, è possibile concludere che la caccia alle streghe fu causata dalla paura del femminino e dunque che la persecuzione e l’uccisione di queste donne accusate di stregoneria fu sostanzialmente un atto di femminicidio.
Emanuela Bianchi, L’ultima strega. Una storia vera dalla Calabria del XVIII secolo, Oligo 2024, pp. 64, euro 13,00