“Ho freddo”: è morto Gianfranco Manfredi
Ricordare Gianfranco Manfredi, spentosi pochi giorni fa a Senigallia dove era nato nel 1948, è un dovere per tutti coloro che amano il popular e il mid-cult. Manfredi è stato un autore poliedrico che ha saputo muoversi tra i molteplici aspetti della contemporaneità occupandosi di musica, saggistica, fumetti, e letteratura. Si era laureato in filosofia a Milano, dove si era accostato al mondo della contro-cultura (“Re nudo”) attraverso le lotte studentesche. É stato prima cantautore, ma vantava collaborazioni con Gino Paoli, Mia Martini, Gaber, Jannacci… Ha scritto, poi, diverse biografie su cantanti famosi, ma mi piace segnalare due testi particolari: “C’era una volta il popolo: storia della cultura popolare” (2021) e “Il collasso della coscienza borghese: dall’uomo della folla all’uomo senza qualità” (2023). Gli appassionati di fumetti lo ricordano, invece, come uno dei migliori autori italiani degli ultimi decenni. Il suo eclettismo e anticonformismo si riflettono anche nella sua idea di letteratura, per l’utilizzo della narrativa fantastica, soprattutto il miglior horror, come strumento per interpretare il disagio esistenziale, il vuoto di riferimenti, l’atrocità della modernità e svelare gli inganni di un immaginario colonizzato da decenni di senso comune al ribasso e di appiattimento culturale. E io voglio ricordarlo proprio attraverso un suo romanzo (extra)ordinario apparentemente vampiresco, “Ho freddo” (2008), oggi introvabile. «Ci sono molte creature sulla terra che vagano come anime sperdute. Creature infelici e inappagate, come e più di me. Né la vita, né la morte riescono a saziarle. Soccorretele Jan. Non lasciatele sole. Attendono d’essere liberate dal male.» Qualsiasi cosa sia successo a Cumberland, nel Rhode Island, Manfredi lo racconta scoperchiando le nostre paure. Poi, chiamatela come volete questa epidemia, consunzione, tisi, rabbia, melanconia o depressione, oppure vampirismo, ma la “ malattia ” è ancora intorno a noi. É il terrore che suscitano i diversi, i “contagiati”, che ci stanno accanto, coloro che vivono addirittura nelle nostre famiglie, sospesi in uno stato indefinito, più spaventoso della morte stessa. Il classico sfondo tenebroso, fatto di villaggi sperduti, di boschi paurosi, castelli e cripte della Vecchia Europa, non è adatto ormai a raccontare le trasformazioni della nostra società. Il mondo è cambiato, il vampiro è cambiato.
Da essere non-morto che si muoveva tra i vivi della società pre-moderna assurge lui come il “vivo” che agisce tra coloro che non sanno di essere “morti”, gli uomini della civiltà delle macchine e dei computer. La modernità ha mostrato tutte le sue dirompenti contraddizioni a partire dal luogo dove è stato più radicale il fenomeno delle repentine trasformazioni economiche e sociali, cioè negli USA. Il New England, in particolare, assurge a simbolo della nuova condizione vampirica, il luogo, non casuale, dove è stato rinnovato dalle fondamenta il genere horror. Il Connecticut, il Massachussetts, il Rhode Island, il Maine avrebbero potuto fornire scrittori di grande valore, come Hawthorne, Poe, Lovecraft senza la tradizione puritana e tenebrosa dei Padri Pellegrini incrociatasi con il dinamismo economico dei nuovi coloni che a frotte giungevano nel Nuovo Mondo? Ora in questo universo si muove con naturalezza anche l’italianissimo Gianfranco Manfredi, che scrisse senza alcun timore reverenziale un romanzo all’altezza dei maestri del fantastico americano, ambientando proprio in questo angolo d’America una storia vampirica. Lo scrittore marchigiano era tornato con questo romanzo ponderoso ai temi del fantastico che già aveva toccato con “Ultimi vampiri”, “Magia Rossa”, “Tecniche di resurrezione”. La vicenda si originava da accurati studi preparatori che affondavano nella storia (il naufragio della nave dei Palatini, la strega Kattern, il primo episodio di vampirismo americano) o nelle leggende del Rhode Island (il bizzarro fenomeno dei fulmini globulari che danno origine ai Vascelli Fantasma, il tesoro di Capitan Kidd, i misteriosi anfratti indiani). Comunque fosse l’origine dei personaggi del suo lavoro, protagonisti di “Ho freddo” sono Aline e Valcour de Valmont, gemelli che discendono da una famiglia di medici al servizio del re di Francia, costretti a causa della Rivoluzione a rifugiarsi in Inghilterra e poi, alla morte dei genitori, partire per l’America. Trovano casa nei pressi di Providence, in una fattoria che anni prima è stata teatro di una strage familiare. Qui faranno conoscenza con Jan Vos, affascinante e tormentato predicatore di origine olandese, ma soprattutto con i membri di una comunità che cerca di dimenticare il passato oscuro che li ha generati. È passato poco più d’un secolo da quando il New England è stato travolto dalle conseguenze del sanguinario processo alle streghe di Salem. Il secolo dei Lumi sembra, però, aver diradato anche oltre l’Atlantico le nubi del fanatismo. Nonostante i fratelli de Valmont appaiono troppo liberi nei costumi, i rozzi eredi dei Padri Pellegrini mettono da parte le loro perplessità quando hanno presto bisogno dei loro servigi. Si è verificato un caso di vampirismo. O è una malattia contagiosa? Quando i corpi si consumano le certezze nella Ragione vacillano, perfino Valcour non ne è immune. La paura è tanta, le tombe vengono aperte, i cadaveri delle ragazze decedute vengono profanati orrendamente: «Si chinò su Abigail le lacerò la camicia sul petto e le ficcò la lama nelle carni. Non pensò più a lei come a una figlia, né come a un essere umano. La aprì come un capretto. Poi affondò le mani nello squarcio e compì l’opera con gesti sicuri e automatici. Si rialzò, stringendo nel pugno il cuore di Abigail.» Gianfranco Manfredi ha saputo costruire una storia colta e avvincente, sospesa tra credulità e incredulità, tra scienza e superstizione, in un testo pieno di rimandi letterari e citazioni che pescano nella grande tradizione del romanzo gotico, libertino e filosofico. Da recuperare assolutamente per ricordare degnamente un “piccolo” grande autore italiano.