regia di Tatiana Alescio, con Tatiana Alescio e Mary Accolla (voce fuori campo di Pietro Montandon), produzione Trinaura.
Liberamente tratto dal romanzo Le case del malcontento di Sacha Naspini, il testo portato in scena al Teatro del Canovaccio a Catania il 12, 13 e 14 aprile, con il titolo di Adele Centini, vedova Isastia, racconta di un rapporto conflittuale tra madre e figlia, di un sogno di ascesa sociale, di una macchinazione ai danni di un vecchio colonnello e del fallimento di un progetto di vita che, poiché costruito sull’inganno e in mala fede, si capovolge trascinando con sé le due protagoniste.
Due donne, madre e figlia, cercano di uscire dalla miseria in cui vivono affidando le loro speranze su un matrimonio con un ricco e vedovo colonnello che la giovane e bella Adele, dopo essere entrata in casa come domestica e poi nelle grazie dell’uomo, seduce e riesce a portare fino alle soglie del matrimonio.
La vecchia madre punta tutto su di lei, la istruisce, esalta la sua bellezza, la istiga alla malizia non senza severità e spregiudicatezza, e la sorveglia.
Adele sembra inizialmente, del tutto succube della madre, quasi mera esecutrice dei suoi piani. Poi, lentamente, si svincola da quel legame, agisce autonomamente, riesce a fare cadere il colonnello nella sua trappola e si trasforma, dichiarando alla madre la sua volontà di agire in autonomia. In questa evoluzione non ha fatto i conti con la sua femminilità sensuale ed esigente che non può trovare soddisfazione nelle attenzioni del colonnello, ormai troppo vecchio per certe cose. Chi cederà ad Adele sarà il giovane autista che le darà la passione cercata risvegliando la sua femminilità.
Solo che da questo rapporto nascerà una gravidanza che Adele cercherà di nascondere fino al giorno del matrimonio ma che , purtroppo per le due donne, si risolverà in un aborto spontaneo che svelerà al colonnello il segreto della ragazza e il suo tradimento. Da ciò il ripudio e la fine del disegno felice che madre e figlia avevano ordito.
Come in un circolo fatale, dopo la morte -forse di crepacuore, forse per etilismo- della madre, Adele, sconfitta e in miseria, si trasforma di nuovo, sfiorisce, perde la sua gioventù, veste i panni della madre e finisce i suoi giorni come “vedova” di un marito che non ha mai avuto, sola, incattivita e sconfitta.
Una vicenda densamente tragica, dal vago riferimento pirandelliano, immersa in un’atmosfera cupa, dove il cinismo si respira ed è un elemento disturbante, resa tale dall’interpretazione di Tatiana Alescio (che ne cura anche la regia) e Mary Accolla, in scena rispettivamente nel ruolo della figlia Adele e della madre.
La forza di questo testo è data dai dialoghi intensi tra i due personaggi, ma il taglio della regia ha il pregio di lasciare molto spazio alla gestualità, ai movimenti ritmati, a piccole coreografie su musiche dal forte valore simbolico. Emozionante il momento in cui, sulle note della ballata Il terzo fuochista di Tosca, le due donne pregustano i risultati del loro malefico progetto e danzano un valzer di gioia e speranza.
Le due attrici, in sintonia fra loro, usano voce e corpo per incarnare il carattere dei personaggi.
Peccato, però, che questa intesa si interrompa spesso per una precisa scelta della regia: quella di lasciare alcuni momenti, dedicati al ricordo o a monologhi interiori, alla registrazione di voci fuori scena. Il colonnello è presente solo attraverso la voce registrata di Pietro Montandon che dialoga con Tatiana Alescio. Non ci è chiara la ragione per cui anche alcuni passaggi affidati alle due attrici siano registrati e fuori campo: si interrompe l’attendibilità della recitazione che, nel complesso, è ben costruita.
Rimane la riflessione sulla situazione sociale e umana, sulla deriva dei valori di fronte alla necessità, sul germe del male che, forse, è presente in ognuno di noi, sull’inesorabilità del destino.