Anna Karenina dal romanzo di Lev Tolstoj, adattamento Gianni Garrera e Luca De Fusco.
Regia Luca De Fusco, scene e costumi Marta Crisolini Malatesta, luci Gigi Saccomandi, musiche Ran Bagno, coreografie Alessandra Panzavolta, proiezioni Alessandro Papa, aiuto regia Lucia Rocco, audio Samuele Di Dio Randazzo.
Con Galatea Ranzi (Anna Karenina) e Debora Bernardi (Dolly), Francesco Biscione (Levin), Giovanna Mangiù (Betsy), Giacinto Palmarini (Vronskij), Stefano Santospago (Oblonskij), Paolo Serra (Karenin), Mersila Sokoli (Kitty),Irene Tetto (Lidija). Produzione Teatro Stabile di Catania/Teatro Biondo Palermo.
In scena a Catania dal 3 al 12 novembre.
Una inaugurazione solenne e rigorosa ha aperto il cartellone 23/24 del Teatro Stabile di Catania, diretto da Luca De Fusco. Il più bello, grandioso e noto dei romanzi di Lev Tolstoj, Anna Karenina, è diventato una riduzione teatrale per opera di Gianni Garrera e dello stesso De Fusco che ne ha curato la regia.
Operazione quanto mai difficile, che ha richiesto necessariamente dei tagli rispetto alla complessa e articolata vicenda del romanzo storico che si compone di varie parti, con molti personaggi e una precisa contestualizzazione e introspezione psicologica.
La scelta dell’adattamento ha portato al sacrificio di molti aspetti -alcuni pur fondamentali, come l’ideologia di Lévin e la sua compromissione nella dolorosa vicenda della rivolta dei contadini e della riforma agraria- che nel romanzo compongono una economia profonda e carica di significati a molteplici livelli.
Qui abbiamo assistito a una rappresentazione focalizzata solo su tre coppie, Anna e Vronskj, Dolly e Oblonskij, Kitty e Levin, nell’evoluzione della loro storia che ha dei personaggi di contorno ma che si articola solo sulla loro vicenda. Del resto, l’adattamento, come il romanzo, prende il via dall’incipit, forse il più celebre della letteratura, “Tutte le famiglie felici sono simili fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”.
L’amore, la famiglia, il matrimonio. Su questi tre temi si sofferma la lettura che Garrera e De Fusco hanno costruito per la scena facendo affidamento su un cast di grandi nomi della prosa italiana, attori e attrici che, da soli, hanno retto lo spettacolo con una recitazione composta, solenne, rigorosa. Galatea Ranzi, attrice dall’esperienza consolidata, ha dato prova di grande talento e ha fatto di questa Anna un personaggio tutto suo, molto malinconico, languida, tendente al capriccio (soprattutto nel lungo monologo finale), una creatura tormentata dalle convenzioni borghesi ma, forse, di più da se stessa, eroina poco tragica, più melodrammatica.
Paolo Serra ha lavorato al personaggio di Karenin rendendolo più umano e moderno di quanto il romanzo ci abbia fatto credere. Lo abbiamo quasi amato, sicuramente compreso empaticamente e ne abbiamo avuto una compassione nuova.
Piuttosto statico, invece, il Vronskij di Giacinto Palmarini, granitico nella sua divisa, statuario nei dialoghi con Kitty, con Anna e con gli altri personaggi. Pochissima passione traluce verso Anna. Altrettanto rigoroso ci è parso Stefano Santospago, Oblonskij, anch’egli forte della sua lunga carriera ed esperienza ma poco coinvolto e coinvolgente.
Molto convincente, nel suo perbenismo ipocrita e nel suo ruolo di moglie tradita Debora Bernardi, Dolly; dolcissima e ingenua la Ketty di Mersila Sokoli che, poiché qui le è stata negata l’evoluzione verso il personaggio maturo e dotato a compiere il bene con il marito, rimane nella semplice figura della fanciulla innamorata. Vivace, dinamica, audace nel suo opportunismo Irene Tetto incarna Lidjia, la seconda moglie di Karenin, pronta a sostituire Anna, anche nel suo ruolo di madre. Betsy è interpretata da Giovanna Mangiù.
l lavoro di Fusco ha, però, mantenuto lo scavo psicologico molto forte nel romanzo dando corpo ai pensieri di personaggi e alle descrizioni che diventano, qui, didascalie messe in bocca alle stesse figure che recitano. Così facendo ha arricchito la sequenza dei dialoghi con interventi di voci che prendono letteralmente corpo dagli attori che, in alcuni momenti, si sdoppiano e parlano di sé, del proprio stato d’animo o diventano didascalie parlanti.
Anche in questa regia, come in altre precedenti, Fusco ha costruito un taglio cinematografico grazie al ricorso di proiezioni che si soffermano sui volti, soprattutto della Ranzi, come in uno zoom della cinepresa, o che recuperano citazioni narrative dal testo di Tolstoj.
Nel complesso l’operazione è il risultato di uno studio intellettualistico e accademico, molto attento agli schemi teatrali, dove la disciplina emerge come la cifra che regola i rapporti e che si serve di un corredo spettacolare degno delle grandi messe in scena. Sono davvero ricchi ed eleganti i costumi di Marta Crisolini che ha curato anche la scenografia, coerenti e toccanti le musiche di Ran Bagno, ma il taglio troppo attento ai lunghi monologhi, decisamente statico, animato solo dal passaggio tra un quadro e l’altro, soprattutto nel secondo tempo, affidato alla parola e alla maestria degli attori ha sortito un effetto cupo e lento che, ciononostante, ha avuto il merito di farci tornare alla lettura del grande classico.
Lo spettacolo comincerà la sua lunga tournée da Palermo a partire da giorno 17.