“Can you smile for me? L’infanzia sperduta”. La mostra al MAXXI di Giammarco Sicuro

Oltre che con le parole e la grande sensibilità che da sempre lo contraddistinguono, Giammarco Sicuro, inviato speciale della Rai, racconta con i suoi scatti fotografici le condizioni dell’infanzia nei luoghi più difficili e problematici del mondo. Apre infatti il 23 febbraio al Maxxi di Roma, Can you smile for me? L’infanzia sperduta, una mostra fotografica che il giornalista ha realizzato per Unicef nell’intento di sensibilizzare più gente possibile sull’infanzia vittima di guerre, povertà, carestie e altri mali che affliggono il pianeta.

Quella che segue è l’intervista che ci ha gentilmente rilasciato, malgrado i tanti impegni, tra gli ultimi preparativi della mostra e l’imminenza della sua quarta trasferta in Ucraina.

Il 23 febbraio 2023 alle 18:00 verrà inaugurata presso il MAXXI di Roma la tua mostra fotografica intitolata Can you smile for me? L’infanzia sperduta. Come nasce l’idea di questa mostra? Le foto esposte quale arco temporale e geografico abbracciano?

Can you smile for me. L’infanzia sperduta, questo il sottotitolo, è una mostra fotografica che ho deciso di realizzare per Unicef, donando più di ottanta foto – sono ottantasei fotografie – di diverse dimensioni che raccontano l’infanzia in molti Paesi del mondo dove si vivono emergenze sia dovute a guerre sia dovute ad altre ragioni di povertà, di carestia e quant’altro e abbracciano quindi praticamente tutti i continenti e più di dieci anni di lavoro come inviato della Rai, come fotoreporter. Il mio lavoro mi ha permesso di entrare in contatto con una serie di realtà, penso per esempio a certe baraccopoli dell’India tra le più povere al mondo, alla Birmania (oggi Myanmar, dove purtroppo non si può più entrare), ad alcune favelas del Sudamerica che sono anch’esse presenti, e poi ovviamente alle grandi emergenze di Afghanistan (reduce da vent’anni di guerra e oggi sotto il controllo dei Talebani) e Ucraina con la guerra purtroppo in corso. È quindi un grande arco temporale che mi ha dato l’opportunità di diversificare anche la quantità di immagini e situazioni e di realtà che però poi hanno un unico comune denominatore che è quello dell’infanzia tradita, dell’infanzia in difficoltà e dell’infanzia che purtroppo molto spesso non ha alcun futuro.

Dall’Afghanistan dei talebani alle favelas di Brasile e Venezuela fino ad arrivare all’Ucraina in guerra, l’infanzia che hai avuto modo di incontrare nel tuo lavoro di reporter è spesso un’infanzia ferita nel corpo e nello spirito, violata nei suoi diritti fondamentali. Cosa possiamo fare noi di concreto per aiutare questi bambini?

Intanto donare a tutte quelle associazioni, organizzazioni, ong che operano, spesso anche coraggiosamente e eroicamente, in realtà molto complicate, penso per esempio alla stessa Ucraina e all’Afghanistan dove ho visto operare team di Unicef anche in località molto remote, e devo dire che ci vogliono una passione e uno slancio verso il prossimo, in questo caso i bambini, davvero incredibili per dedicare la vita e vivere in certe situazioni, anche soltanto per raggiungere i bambini in realtà veramente complicate, e quindi sostenere economicamente, donare in direzione di queste organizzazioni che hanno progetti veramente fondamentali in certi Paesi, credo sia già un gesto concreto che possiamo fare. Quindi doniamo, donate il più possibile. Poi anche semplicemente diffondere certe immagini, farle diventare virali, far circolare certe fotografie, anche in questo caso di questa mostra, oppure visitare certe mostre, certi eventi, dargli peso, dargli importanza. Insomma tutti noi possiamo nel nostro piccolo, ormai con i social media, dare un po’ di visibilità e cercare di raggiungere più persone possibili perché le fotografie, il valore e l’impatto delle immagini è talmente straordinario che magari qualcuno che si trova di fronte un volto di un bambino sofferente fa qualcosa e si attiva lui stesso per donare.

I bambini, per la loro fragilità, sono le prime vittime delle catastrofi naturali come della follia dell’uomo che si esprime attraverso le guerre, eppure rivelano anche straordinarie e inaspettate capacità di adattamento e resilienza. In base alla tua esperienza cosa puoi raccontarci in proposito? Com’è la reazione dei bambini “sperduti” davanti all’obiettivo fotografico?

I bambini hanno una resilienza straordinaria, pazzesca, hanno una capacità di adattamento, una flessibilità mentale, una capacità di rimanere molto spesso felici e divertiti anche in situazioni in cui un adulto arriva alla depressione, arriva a non vedere più nessun tipo di speranza. Ecco, i bambini sono gli ultimi a perdere la speranza tra noi esseri umani e di questo ho la conferma continua tutte le volte che mi reco in situazioni veramente al limite della sopravvivenza, in cui gli adulti brancolano come zombie in cerca di cibo, ovviamente gravati anche dalle responsabilità. I bambini nella loro ingenuità, nella loro purezza ma anche nel loro entusiasmo di vivere, nel loro slancio di vita, sono gli unici, anche in quelle situazioni, a regalarti sempre un sorriso, a giocare, a trovare la voglia di giocare anche con niente e questo è veramente straordinario perché sono una forza che poi irradia di energia anche chi sta intorno; anche in situazioni complicate in cui noi reporter dobbiamo filmare, lavorare, riprendendo scene terribili, poi c’è il momento in cui subentrano nella scena una serie di bambini saltando e giocando e ti danno quell’attimo di vitalità o di energia. Purtroppo la foto simbolo della mostra, che appunto prende il titolo da questo episodio che vi racconto, cioè la richiesta di avere un sorriso da un bambino – “can you smile for me?” (“puoi sorridermi?”) – nasce proprio dall’immagine di una bambina che ho incontrato e fotografato in Donbass, in Ucraina, una bambina che è totalmente incapace, invece, di regalarmi un sorriso: non riesce proprio a dimenticare, evidentemente, la sofferenza che ha vissuto (veniva da un’occupazione di mesi da parte della Russia) e questo ovviamente è molto triste. Il nostro impegno anche con questa mostra insieme a Unicef è quello di regalare un sorriso, di far tornare il sorriso anche a quei bambini che incredibilmente l’hanno perso.

Avremo modo di visitare questa mostra anche in altre città italiane?

La mostra al momento è programmata appunto a Roma, al MAXXI, fino al 5 marzo. L’ingresso è libero, quindi chiunque può venire e chiunque sarà il benvenuto. L’obiettivo di Unicef, e anche il mio, è quello di renderla itinerante per chiunque si voglia far carico di ospitare una mostra di questo tipo, con ovviamente l’apporto di Unicef, e stiamo già pensando di portarla anche in altre città perché credo sia importante che più persone possibili abbiano la possibilità di incrociare il loro sguardo con quello di questi tanti bambini e vedere che le immagini sono molto forti ma soprattutto il racconto che sta dietro queste immagini e anche altre sorprese che regala la mostra.

Dopo L’anno dell’alpaca. Viaggio intorno al mondo durante una pandemia, il tuo fortunato libro d’esordio, a metà strada fra reportage giornalistico e narrativa di viaggio, so che hai scritto un nuovo testo. Puoi darci qualche anticipazione sul tema trattato e su quando dovrebbe uscire?

Per quanto riguarda L’anno dell’alpaca, il mio libro d’esordio, mi fa piacere ricordare che anche questo libro aveva una collaborazione con Unicef, è un patrocinio appunto di Unicef, proprio per la presenza di tanti bambini raccontati nelle storie presenti all’interno del libro. E adesso sì, ti confermo che vado verso la pubblicazione di un secondo libro che avrà come tema, purtroppo, la guerra in Ucraina, attraverso le testimonianze raccolte durante la mia permanenza in quei luoghi, più di centocinquanta giorni soltanto nel 2022, e mi appresto a tornare là. L’annuncio del libro sarà veramente a breve e con esso il titolo e quindi spero che sarà una nuova occasione per riflettere sul giornalismo, sull’infanzia sperduta e sulla necessità di restituire un sorriso ai bambini.

Loading