La verità, vi prego, sullo scatto: “Leonardo Sciascia. Sulla fotografia” (Mimesis)

Già Aristotele stesso si era posto il problema della creazione delle immagini mentali distinguendo la vista dalla sensazione visiva: il phantasma, l’apparizione. L’interessantissimo «Leonardo Sciascia. Sulla fotografia» a cura di Diego Mormorio (appena edito da Mimesis) ripropone quella questione sempre aperta. E non abbiamo a caso citato il filosofo greco, visto che per Sciascia il concetto di fotografia equivale a quello di narrazione: ovvero la costruzione di una storia dietro la mera immagine. Diego Mormorio, critico della fotografia, ha centrato la sua attenzione di studioso sul rapporto tra fotografia e letteratura esplorando «quell’immenso territorio» proprio da e attraverso Sciascia, il quale pone una questione centrale: «cosa è la fotografia se non verità momentanea, verità che contraddice altre verità di altri momenti?»

Da questo punto di vista i saggi che corredano il volume – «Il ritratto fotografico come entelechia» e «Gli scrittori e la fotografia», delineano una straordinaria profondità concettuale non solo sull’idea di immagine ma anche dei suoi rapporti con la memoria, l’identità, il vissuto personale. Fotografia dunque come verità ma anche come menzogna: una riflessione che Sciascia – inaspettatamente – racchiuse in alcuni versi bellissimi de «La Sicilia, il suo cuore»: «Come Chagall vorrei cogliere questa terra/ dentro l’immobile occhio del bue.» E l’obiettivo di Sciascia – le fotografie del libro risalgono tutte agli anni ’50 – coglie davvero il senso della suo fare e della sua idea di scrittura. Anzi, sembrano proprio inaugurare una attenzione che non è solo siciliana (pensiamo ovviamente a Scianna, a Sellerio, a Leone, a Chiaramonte) ma appunto, sciascianamente universale: la fotografia (anche) della Sicilia come metafora dell’immagine del mondo; dall’amatissima contrada Noce, a Racalmuto, agli scorci dei paesi siciliani, alle strade solitarie di Barcellona ad una innevata Avignone, fino ai ritratti delle due figlie Laura e Anna Maria e della moglie Maria: e nel suo personalissimo sguardo, «l’occhio di bue» di Sciascia contiene la discrezione ed il respiro che è propria della sua stessa scrittura. Dalla definizione che Valéry utilizzò per la danza – «l‘istante genera la forma e la forma genera l’istante» – e che Sciascia mutua per la fotografia, prende le mosse anche il denso saggio di Mormorio che apre il volumetto: quell’arte come processo di avvicinamento, di superamento dell’assenza che – contraddicendo dunque il Barthes de «La camera chiara» – getta lo sguardo all’indietro, alla nascita della fotografia come ritratto fotografico (dunque memoria, identità, fisicità), affrontando la querelle fra ritratto pittorico e attendibilità del ritratto fotografico (su cui avrebbe scritto anche Scianna ne «Lo specchio vuoto»). Per Sciascia (che cita Praz) l’opposizione – «un ritratto eseguito da un pittore sia un’interpretazione e quindi una deformazione, e che una fotografia, al contrario, sia obiettiva e dica la verità » – è un pregiudizio. L’immagine fotografica allora nel suo dispiegarsi non può che essere «attendibile», restituendoci «il senso di quella vita, di quella storia, di quell’opera compiutamente, in entelechia

Leonardo Sciascia, Sulla fotografia, (a cura di Diego Mormorio), Mimesis, 2021, euro 12,00

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