Catabasi verso la Madre: «Corpo di tutte le madri» l’esordio poetico di Rosa Maria Di Natale
L’esordio poetico di Rosa Maria Di Natale, giornalista e scrittrice catanese, prende forma all’interno di un universo femminile concreto, fisico, carnale. E’ il corpo a dettare legge, a imporsi come ratio: un corpo – seppure pronunciato pochissime volte – presente e sofferto, vissuto e martoriato. Lungo una rastremazione della scrittura che a poco poco quasi si asciuga pur mantenendo sempre una notevole tensione espressiva, il libro è incentrato su triadi di donne e «madri oblique»: da un lato Maria, la madre, la nonna Giuseppa e la zia Assunta: ovvero le radici, la memoria delle radici e il legame con le radici. Dall’altro un’altra triade, doppia, ovvero le poetesse, chiamate a scandire ogni sezione: Louise Gluck, Patrizia Cavalli e Vivian Lamarque e, ancora, Maria Attanasio, Emily Dickinson e Alda Merini. A questa se ne aggiunge un’altra più intima e oscura: Iside, Medea e Demetra. Tutte loro madri-dee dalle caratteristiche diversissime: la guaritrice, l’ambigua maga, la divinità misterica dai molti nomi. A loro Rosa Maria di Natale si ispira per accedere al mondo (anche sotterraneo) della poesia. Dal tono epico della prima sezione, vero e proprio poemetto introduttivo con tanto di invocazione-preghiera (sottolineato da tutti gli ottativi: «Scorrano… avanzino… si fondino»), il libro si struttura in seguito come un’ardua catàbasi verso l’altrove in cui poter ritrovare se stessa e la madre: l’autrice è un Orfeo al femminile. In questa sezione proprio le madri si fanno carico di tutto il dolore del mondo: sono figure cristologiche e taumaturgiche, ctonie e perturbanti. Il mutamento di segno avviene nella sezione successiva lì dove, quasi al centro fisico materiale del libro, la Di Natale manifesta una vera e propria dichiarazione di poetica: «La parola lascia impronte/ simili ai morsi sulla carne/ non vorrei strapparti niente/ di basico o importante/ solo darti quello strazio fine/ del sostare a vita sul confine». Ecco, fare poesia è questo nutrirsi forsennato di corpi, questo limen difficile da oltrepassare. E se in «Madri oblique», culmine della raccolta, l’autrice ritrova la madre e finalmente può coincidere con lei – « …ora ricalchi le pieghe del tuo viso/ e le incolli sul mio con poche varianti/ occupi i buchi neri del tempo/ curi le rose che mi abitano» – nella successiva sezione irrompe improvvisamente il dialetto siciliano ad aprire uno squarcio nella lingua di ogni giorno e schiudere il varco per passare nel rovescio del regno, declinando l’inferno di un femminicidio. Sostenuto un’ironia quasi mai impalpabile ma secca e imperativa – spicca il cameo di un impietoso autoritratto – «Corpo di tutte le madri» ci consegna una voce che declina non solo il suo privato universo femminile – si legga su tutte il caustico «Avviso al Creatore» – ma abbraccia e comprende l’animo di ogni donna.
Rosa Maria Di Natale «Corpo di tutte le madri», Ensemble, Roma, 2024, euro13,00