Per raggiungere il padre tra versi e prose: “Ora ti parlo (colloqui con il padre) di Ros Lo Conte e Luigi M. Bruno

«Festina lente. Mio padre, maestro di scuola, me lo ripeteva spesso da piccolo. Ma io non sono riuscito mai a realizzare quello che dopo ho imparato essere un ossimoro. Ancora adesso corro: ma non so bene dove e per quale motivo». Tra i tanti pensieri e nelle trame dei versi che Ros Lo Conte dedica al padre, ho scelto questi per introdurvi nella lettura di memorie familiari che Lo Conte e Luigi Massimo Bruno dedicano ai rispettivi padri. «Ora ti parlo (Colloqui con il padre)» è un bel volume di riflessioni in versi e prosa. Pubblicato da Il Convivio Editore nel novembre 2023 con prefazione di Alfredo Sgroi (docente di Storia e Filosofia e saggista) e nota finale di Giuseppe Manitta (poeta e scrittore) questo lavoro si pone, per entrambi gli autori, in diretta continuità con le opere precedenti che li hanno visti impegnati in raccolte di versi anche in vernacolo Lo Conte; in percorsi narrativi tra versi e prosa ispirati alle sue esperienze nell’arte dell’immagine dipinta o sceneggiata Bruno. Tema comune ad entrambi è il dialogo retrospettivo con la figura paterna. Come osserva Sgroi nella sua prefazione, «Il colloquio con chi non c’è più, si sa, è un tema topico di tanta letteratura…la scrittura, in fondo, diventa un illusorio ma necessario risarcimento che giova, se non a cicatrizzare le ferite, quanto meno a smorzare il dolore della perdita» Ed è proprio attraverso la scrittura che questo percorso risarcitorio si articola. E non nelle parole narrate. Piuttosto in quelle cantate. Perché, in fondo, il verso è – come per gli antichi aedi – canto e strumento ideale per le emozioni che il ricordo suscita. Che si tratti di ricordi d’infanzia, come la citazione iniziale di Lo Conte, di conflitti adolescenziali nel necessario distacco dall’archetipo paterno, ovvero della magia di una notte d’estate che ci racconta Bruno. «…Fu una notte d’estate, cento anni fa. Un cielo stellato in campagna, la terribile bellezza del Creato. Paura di alzare gli occhi e guardare lassù…Ma ero con lui, la sua voce con gli altri a discorrere, la sua sigaretta brillare al buio, e la sua mano tenermi a sé…». Il lettore viene trasportato nel ricordo notturno di un cielo stellato – che incute timore ad un bimbo – nel natio Salento, quando certezza è solo la sigaretta paterna che si intravede nel buio, la sua voce sicura, ed il saldo presidio della mano, forte di fronte all’ignoto. Il libro è diviso in due sezioni. «La vestizione del padre» è quella che Ros Lo Conte dedica alla memoria paterna. Si apre con un ricordo doloroso in cui la vestizione del padre per il rito funebre coincide – come osserva Manitta nella nota finale – con la svestizione del figlio. Ma si inscrive e si proietta, come si intuisce dalla dedica al figlio Alessandro, nel futuro delle generazioni. Un figlio che diventa padre di un altro figlio. Quasi un antidoto all’oblio; è quindi necessario custodire e tramandare. Perché non tutta la memoria diventa, poi, storia e patrimonio di ricordi familiari che fanno radice. Lo Conte – ne sono certo – nel dedicare queste pagine di memorie, prova ad osservare e tramandare il precetto paterno, festina lente. Ma non ci riesce. Continua a correre, e questa corsa ci trasporta attraverso la grande storia, la Campagna d’Africa da cui il padre ritornò miracolosamente e casualmente illeso, fino alle vicende più intime e quotidiane. Altri versi ci cantano, così, il rito della sveglia mattutina, tanto in anticipo per il treno verso Napoli, all’Università. La Seicento bianca con gli sportelli controvento e la gita a Montevergine, in otto in macchina, con le zie. O la corsa su quel tratto di strada dritto che il papà chiama tirolungo: «…papà, è vero che con te vado a cento chilometri all’ora?». Ma anche i conflitti generazionali così consueti negli anni della sua adolescenza: «…mi alzai di scatto e voltandogli le spalle, di fronte a tutti, gridai: mi rifiuto di mangiare con i fascisti!» o le scelte universitarie: «…lui voleva che diventassi medico…ma erano gli anni del Sessantotto e “tu ti eri messo in testa di fare il comunista” ». Poi il racconto prende altri percorsi, rallenta e si sofferma su quadri dell’ultima vita del padre. Il tono qui è malinconico. Canta emozioni di ruoli ribaltati: l’uomo forte è adesso il figlio. L’autore ne sente il peso, ne racconta la responsabilità: «è nel ritorno che solo ha senso un volo…». Finché il verso si scioglie in pianto di speranza: «E tu tornerai/per darmi quel bacio/che mi avevi promesso prima di morire…tu tornerai/alla vita/o, forse,/ a qualcosa di meglio». «…ti perdevo ogni volta/nel fuggirti altrove,/ti lasciavo i giorni/deserti all’intorno,/ né più trovare altro/che poi silenzi ormai/fino alla notte tua/ma… ORA TI PARLO». Inizia invece così, con questi versi, la sezione «Ora ti parlo» che Luigi Massimo Bruno dedica all’Avvocato Bruno, suo padre. Anche Bruno riprende e ripropone il tema della perdita. Anche lui lo riprende in chiave riparativa e, per quanto ormai tardi, risarcitoria. I suoi versi, più che ricostruzioni nette di eventi, memorie di fatti, trascolorano nel disegno di emozioni. Quelle che lui è uso dipingere con leggeri tratti di carboncino oltre che in versi. Le stesse che trasmettono il bel dipinto di copertina e le sue evocative illustrazioni che corredano il libro. «Io che con te/ogni giorno fui,/tu che fosti/con me/stessa ventura/Come nel perderci/dietro i miei passi/più non ti vidi?». Com’è successo che si sono persi? L’autore vive fin da bambino nella adorazione del padre. Il piccolo Luigi ne osserva i minimi dettagli che il Luigi della maturità ci riporta con la freschezza di oggi, nonostante sia passato un tempo infinito. Le mani forti che reggono il volante mentre guida verso il mare di Gallipoli, l’Omega ingiallito al polso, l’odore della colonia ed il fumo della sigaretta che gli vela parzialmente il viso: «Guardavo le mani di mio padre,/impazienti e nervose…mentre al volante si torceva con sigarette e cerini…guardavo le sue braccia/e la nuvola bianca/sulla sua pelle tesa/ e l’Omega ingiallito/rapido nel guardarlo…». Poi la partenza per la grande città, Roma, dove i sogni e le speranze di nuove prospettive professionali si scontrano con delusioni, il trasferimento di tutta la famiglia dopo la morte del nonno, ed infine la malattia, in un grande ospedale. Come Lo Conte, anche Bruno si prepara all’inversione di ruoli. Con la malattia del padre, con le visite nel grande ospedale «in una stanza in penombra della città malata…». Inizia così il nuovo – e lento – procedere insieme. Verso il fine vita per il padre, in prospettiva di nuova coscienza per il figlio. Lui, il bimbo della notte stellata di cento anni prima, lui che osservava la sicura mano paterna accendersi una sigaretta al volante mentre le volute di fumo si spandevano nell’abitacolo, non e’ più foglia. Ora è radice. Ed ora gli parla, al padre: «Cammino oggi sui tuoi passi papà…sulle stesse strade nuova estate ignora i miei sogni». Si incontrano, così, nel loro epilogo memorie e versi dei due autori. Nell’estremo istante dell’addio al padre, entrambi lo riportano in vita. Ros Lo Conte attendendo il bacio promesso, Luigi Massimo Bruno ripercorrendone i passi in una nuova estate che ignora i sogni.

Ros Lo Conte-Luigi Massimo Bruno, «Ora ti parlo» Il Convivio Editore 2023, euro 14,00

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