Sessantaquattro spettacoli, duecentosettantasette repliche, più di centoquaranta eventi, trentuno spazi coinvolti nei diversi quartieri della città, centottanta artisti in scena. Per il secondo anno consecutivo Catania ha vissuto l’esperienza coinvolgente di un festival di teatro OFF, fuori dalle convenzioni, fuori dai circuiti istituzionali, fuori dagli spazi tradizionali, grazie all’ideazione e alla direzione artistica di Francesca Vitale e Renato Lombardo.
Il FRINGE FESTIVAL DEI TEATRI OFF, lo ricordiamo per ricostruirne la storia, nasce ad Edimburgo nel 1947 dalla volontà di una compagnia teatrale che non aveva potuto esibirsi nel festival del teatro della città e aveva accettato l’invito di un parroco che aveva offerto la sala dell’oratorio. Il loro spettacolo fu un successo tale che spostò l’attenzione di alcuni importanti critici verso questo evento ai margini, collaterale, fringe.
Fringe, infatti, in inglese significa frangia, e, così, da allora, il termine viene usato per indicare metaforicamente l’idea di connettere, unire, presentare parallelamente moltissimi spettacoli di teatro indipendente, come in una frangia.
Da allora molte città, europee prima e poi in tutto il mondo, hanno avuto il loro festival dei teatri OFF.
Da due anni anche Catania, per più di due settimane, anche grazie al patrocinio dell’amministrazione comunale, ha portato in scena una rete di eventi, una festa di cultura, un mondo di bellezza.
Tra le molte sale coinvolte ci sono quelle che hanno una tradizione, anche lunga, di teatro indipendente, a volte piccoli spazi con un pubblico affezionato di veri appassionati di teatro, come lo spazio Open di Paola Greco, la Sala Hernandez, il CUT, la sala Giuseppe Di Martino, il Centro Culture Contemporanee Zo, il Piccolo Teatro della Città, la Sala De Curtis, lo Spazio O ecc. ma anche luoghi non deputati allo spettacolo, si sono prestati ad accogliere eventi, come scuole o centri di aggregazione sociale o di cura.
Una città coinvolta, con le sue periferie, è diventata tutta un grande palcoscenico dove i cittadini e i turisti hanno potuto scegliere, all’interno di un panorama vasto e vario di eventi performativi di ogni genere: teatro di parola e di narrazione, mimo, danza, improvvisazione, cabaret. Dopo le prime sere è scattato il passaparola, il piacere di scambiarsi opinioni e condividere, di consigliare e mandare gli amici, in uno spirito di partecipazione e di festa della cultura e della bellezza.
Abbiamo visto una parte di tutti gli spettacoli messi in scena, non quanti avremmo voluto, ma nella scelta abbiamo un po’ seguito l’istinto, un po’ la curiosità.
Dopo la prima serata inaugurale di presentazione, avvenuta al teatro Sangiorgi il 17 ottobre, abbiamo cominciato a muoverci da una sede all’altra.
Sarebbe davvero difficile stilare una classifica (e sarà davvero un arduo compito, per la giuria, quello di attribuire un vincitore) tra le performance scelte.
Siamo rimasti estasiati dall’esibizione di Rainee Blake che, rendendo omaggio a Joni Mitchell, con il titolo di Take me as I am, ha eseguito brani cantando e accompagnando con strumenti musicali la sua voce angelica che coniugava grinta e infinita dolcezza.
E’ stato un momento di poesia e di leggerezza Mr Bloom, una performance di mimo di e con Antonio Brugnano, un omaggio a Charlie Chaplin e a Jacques Tati, ma anche a Buster Keaton e a Petrolini, che ci ha raccontato con la tecnica del linguaggio non verbale, la giornata tipo di un impiegato qualunque, di un uomo qualunque subito richiamato alla mente dall’immagine di scena che riproduce il celebre quadro di Magritte.
Una coreografia multidisciplinare, dove i suoni si fanno protagonisti insieme ai movimenti e alla pantomimica di Valentina Barri su idea e progettazione scenica di Ivano Torre, Medusa, ci ha ricordato il mito della gorgone che si muove in un sottofondo marino ricostruito da un insieme di echi sonori riprodotti con strumenti musicali a percussione ma anche non convenzionali, più registrazioni di voci. Solo che questa gorgone moderna nuota nel mare della contemporaneità, inquinato e oltraggiato. In uno spettacolo dei sensi, con un sottotesto non verbale distrubante, Ivano Torre ci dice che la creatura del mito non potrà usare le sue armi magiche per pietrificare ma per “plastificare” il mare e l’esistenza.
Quanto possa essere grande la forza dei linguaggi non verbali ce lo ha dimostrato un’altra sorprendente performance costruita su movimenti scenici e un uso, questo sì straordinario, del corpo umano. Muta-morfosi, di e con Sara Lisanti, ha raccontato una trasformazione, un passaggio da uno stato all’altro. Il primo stato è quello del dolore umano, il dolore della solitudine rappresentato da un corpo, nudo, chiuso dentro una teca di vetro trasparente e sigillato in uno strato di pellicola. Il corpo si ferisce, preleva il suo stesso sangue e scrive, con questo, il suo grido, il suo appello disperato, il suo HELP che qualcuno raccoglierà. Come un rettile che perde la sua pelle, la creatura che esce dal suo guscio trova una possibilità di cambiamento, la sua muta, grazie alla cura, all’unico atto coraggioso che si possa fare, prendersi cura di sé e degli altri. Attraverso il body painting, la sua pelle viene colorata dalle abili mani di una fanciulla che usa il pennello come una piuma e il colore come un pharmaco, per coprire la nudità e rivestirla di azzurro e oro. La creatura diventa una statua, brilla di luce e sorride. Il cambiamento è figlio del dolore e della cura. Toccante la bravura di un’artista che è riuscita a comunicare un processo, un passaggio con crudezza e delicatezza.