Scritture, Visioni & Immaginazioni
Abbiamo incontrato uno dei due ideatori, Francesca Romano in una conversazione utile e illuminante.
–Hai portato il Fringe che appartiene a un circuito internazionale in una città del sud, a sud del Sud. Come ti è venuta questa idea, da quanto tempo, tu e Renato avete cominciato a lavorare a questo progetto?
Io vado ad esplorare i Fringe Festival in giro per il mondo da molto tempo, vado al festival di Avignone da circa vent’anni, al festival di Edimburgo da circa dieci anni, ma poi sono stata anche al festival di Adelaide, ecc. Trovo che Catania col tempo, perché le cose non si fanno in un giorno, possa diventare la città ideale per un Fringe festival perché in realtà un Fringe è un fenomeno per cui tanti spettacoli di teatro indipendente si offrono continuativamente alla città. Per cui quale città più adeguata di Catania, in cui la gente ama uscire, incontrarsi, per dare l’opportunità di andare a vedere più spettacoli nel corso della stessa giornata, e compiere così una sorta di rito collettivo e di scambio culturale? Questo è lo spirito del Fringe.
–Quanto può essere importante per la città una iniziativa di questo tipo?
Può essere importante perché la città fa rete e il festival diventa un punto di incontro, un momento per condividere delle emozioni. Bisogna creare un coinvolgimento collettivo, cosa non facile perché questa manifestazione qui non è molto conosciuta.
–Come hanno risposto gli artisti alla proposta di venire a Catania?
Molto bene, con entusiasmo.
-Questo festival in qualche modo può anche aiutare a concentrare l’attenzione su tematiche sociali, sui diritti fondamentali, perché analizzando il cartellone proposto è evidente che i contenuti ci siano e siano molto forti?
Sì. La caratteristica del Fringe è di essere inclusivo, quest’anno è capitato che argomenti di interesse sociale, come il disagio giovanile, l’emarginazione, la malattia, abbiano preso più piede e siano effettivamente presenti in grande numero e questo ci rende felici.
Lo spiego in due step: ci chiamiamo OFF perché è nato per primo il nostro partenariato col festival di Avignone e il festival di Avignone si chiama Avignon Le Off, quindi noi abbiamo preso la denominazione prima di Milano OFF Fringe festival, poi Catania Off; poi è successo che quando il nuovo direttore Luca de Fusco si è insediato ha rilasciato un’intervista nella quale ha dichiarato che una sua ambizione era di realizzare un Fringe, così ci siamo subito messi in contatto con lui e abbiamo offerto la nostra competenza in materia e la nostra volontà di collaborazione. De Fusco ha accettato di buon grado l’idea – come ha più volte dichiarato in conferenza stampa e in altre occasioni (ndr)- così abbiamo messo in piedi, anche con l’aiuto e il supporto dell’Istituzione, questa prima edizione catanese del Fringe e non possiamo che essere contenti di questo fatto.
–Il festival ha diverse sezioni, tra le quali una dedicata ai Corti teatrali che permette ai giovani artisti di confrontarsi e di avere poi la possibilità di vedere prodotto il proprio spettacolo dallo stesso Teatro Stabile (per i primi tre classificati). Questa idea come nasce?
Questa era l’idea nata dal Direttore De Fusco che intendeva fare questo festival dei Corti per dare la possibilità a giovani artisti, under 35, di proporsi e avere poi prodotto il proprio testo. Noi abbiamo offerto il supporto della nostra organizzazione anche se il format del Fringe non è riservato ai Corti ma a spettacoli, brevi, ma completi. Abbiamo fatto convivere le due cose perché le abbiamo trovate fortemente compatibili. Il mondo dei corti che è un mondo che è quello di uno spettacolo in potenza con il Fringe degli spettacoli già pronti che vengono offerti a pubblico e stampa.
-Una domanda personale: Francesca Romano, attrice, regista con una storia importante e Catania?
Ho iniziato il mio corso di studi in questa città, sono diventata avvocato poi a Milano mi sono specializzata nel settore dello spettacolo, appena ho avuto un po’ di indipendenza sono tornata subito a Catania per creare la mia rassegna Palco OFF che quest’anno è giunta al decimo anno.
Conosco bene la città che ha tante luci e tante ombre, come le hanno Milano e altre città; l’importante è avere passione e credere nelle cose che funzionano e su quelle che non funzionano provare a intervenire.
–Ultima domanda, provocatoria: abbiamo vissuto due anni durissimi per il mondo del teatro, per lo spettacolo, per il cinema. Oggi, uscendo dall’emergenza, possiamo dire che il teatro ha ancora un futuro?
Per me assolutamente sì. Io vedo una crisi terribile nel settore del cinema, anche perché il cinema ha una concorrenza diversa che è quella delle piattaforme. Per me il teatro ha un futuro, la gente è tornata massicciamente a teatro; la scorsa rassegna di Palco Off, la nona, ha registrato un’affluenza inaspettata, il pubblico accettava anche di stare con la mascherina ed esibire il green pass pur di tornare a teatro. Io sono molto ottimista sul futuro del teatro, il teatro non muore perché non muore il rapporto diretto che c’è tra l’attore e lo spettatore.