Il tramonto dell’Occidente. Le pecore elettriche sono stanche di seguire il pastore

Il tramonto dell’Occidente. Le pecore elettriche sono stanche di seguire il pastore

Oltre a rappresentare uno strumento di demistificazione,

la fantascienza di Dick si assume il compito di indagare

al di là dell’orizzonte costituito dai frammenti

in cui si è ridotta la società contemporanea,

nella speranza di potervi costruire

un territorio specifico e l’autentico essere umano.”

Francesca Rispoli (Universi che cadono a pezzi, 2001)

Tra crisi ecologica globale, pandemia, minaccia nucleare e migrazioni di massa, tutti fenomeni provocati dalla ristrutturazione turbo-capitalista in atto, i peggiori incubi appaiono sempre più reali. In una fase del genere l’umanità (di certo quella europea) sta perdendo speranza nel futuro sotto la spinta dello scontro in atto tra grandi potenze: gli USA da una parte, che non vogliono perdere la posizione dominante, e la Cina, dall’altra, che vuole la sua fetta di potere globale. Le democrazie occidentali si muovono sul sottile discrimine tra inettitudine e paura. Allo stesso modo i cittadini sempre più insicuri e ansiosi, stanno perdendo fiducia nei loro governi. La disaffezione crescente verso i politici ritenuti incapaci di risolvere i problemi allontana gli elettori dal voto. Il pericolo può essere vicino, tentazioni autoritarie possono essere dietro l’angolo. Il rischio è aprire la strada a soluzioni frettolose ed estremamente pericolose. Più delle mille analisi degli studiosi, la letteratura di genere, in particolare la fantascienza, che ha saputo immaginare i peggiori mondi possibili, ci può aiutare a capire. Contraltare della facciata seduttiva mostrata dalla società dell’iperconsumismo l’immersione nei migliori romanzi distopici ci mostra l’altra faccia della medaglia. Uno degli scrittori che meglio ha rappresentato questo malessere è stato Philip K. Dick. Le società tratteggiate dall’autore americano appaiono contagiate dal germe della follia e nessun movente delle azioni umane risulta mai completamente razionalizzabile: in questo senso le sue storie rappresentano amaramente la realtà contemporanea. I suoi personaggi hanno spesso opinioni banali, prive di senso, attratti da informazioni-spazzatura, ridotte a brandelli di notizie senza fondamento. Scriveva Dick nel 1977 in Se vi pare che questo mondo sia brutto (Feltrinelli, 1999): Nei miei scritti non smetto di domandare che cosa è reale, perché siamo incessantemente bombardati da pseudo realtà prodotte da gente estremamente sofisticata che adopera dispositivi elettronici altrettanto sofisticati. Non diffido dei loro moventi, diffido del loro potere.In conseguenza di ciò, i suoi personaggi credono di vivere in una realtà stabile e dotata di senso. Questa illusione è destinata a infrangersi, perché ben presto si rendono conto di essere in errore e di vivere langosciante esperienza di un mondo in radicale mutamento, in cui non è possibile muoversi secondo coordinate chiare. Si vive in un universo che cade a pezzi , appunto, in una sfida continua alla capacità cognitiva dei personaggi. Lunica consapevolezza che essi possono raggiungere consiste nella scoperta della natura soggettiva del mondo che inizialmente avevano creduto oggettivo. Nel mondo della pre-crisi economica di alcuni decenni fa (oggi è pure peggio), quello in cui non esisteva una verità consolidata, ma molteplici possibilità interpretative e soggettive, i seguaci del postmodernismo avevano visto una grande occasione per luomo. Proprio negli stessi anni Dick, invece, non rinunciava alle teorie moderniste, ancorate a pensieri forti, perché la sua speranza era di imbattersi un giorno o laltro nella realtà più profonda, quella che, in verità, non scompare mai. Sulle tracce di Eraclito che diceva: la struttura latente governa la struttura evidente, e ancora, la natura delle cose sta nella consuetudine a nascondersi, i suoi romanzi testimoniano un percorso esistenziale che riflette la vita di un uomo sospeso tra il desiderio rassicurante di un universo perfetto e la realtà di un mondo imperfetto. Non fa eccezione Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (1968), pubblicato in varie edizioni nel corso degli anni in Italia con titoli diversi, da Il cacciatore di androidi a Blade runner, da cui venne tratto nel 1982 il famoso film di Ridley Scott. Forse non è il romanzo più importante, ma non sfigura accanto ai titoli più noti della sua bibliografia come Ubik, I simulacri, Un oscuro scrutare, La svastica sul sole, Luomo dei giochi a premio, Noi marziani, Le tre stimate di Palmer Eldritch. Dal Golem al mostro di Frankentein, fino ai robot di Asimov, la storia delluomo “creatore” è lunga. Se Asimov aveva cercato di inquadrare i robot in un codice di buona condotta, tipica dellirregimentazione sociale degli USA anni 50 del secolo scorso, Dick avvertiva, invece, linquietudine dei 60, e assorbendo le istanze della nuova scienza, la cibernetica, si chiedeva se un giorno una macchina creata dalluomo potesse pensare autonomamente. Ma gli androidi sognano pecore elettriche? è ambientato nell’area desolata della baia di San Francisco. Dick racconta di una realtà oscura generata da una guerra nucleare che ha devastato lecosistema umano, costringendo l’umanità ad andare nello spazio. Il protagonista Rick Deckard è un cacciatore di taglie, che vive con pochi soldi insieme a sua moglie Iran: soli, senza figli e con una pecora elettrica a tenere compagnia. Il romanzo si apre con una scena domestica appunto, dove si mette in rilievo il malessere familiare accentuato dal fatto che perfino Barbour, il vicino di casa, può permettersi una vera cavalla e Deckard no. Oltre a Rick, c’è un altro protagonista, lingegnere di animali robotici Jack Isidore. Gli abitanti della città californiana vivono in condomini semivuoti immersi nell’aria radioattiva. La sofferenza fisica e psichica è tanta. Nel romanzo appaiono dei congegni tecnologici che possono alleviare la depressione crescente, come il modulatore di emozioni Penfield, oppure si può trovare sollievo in una religione che si è formata attorno al santone Wilbur Mercer. Si capisce in questo contesto di degrado l’importanza dei pet, gli animaletti domestici (ah, i nostri cani e gatti!). Chi è rimasto sulla Terra sogna di possedere un vero animale, ma siccome sono rarissimi, le industrie producono copie incredibilmente realistiche di gatti, cavalli, pecore. Anche l’uomo è stato riprodotto, perché gli androidi umani sono utili nella colonizzazione di Marte; molti di loro sono rudimentali macchine, oppure, se più complessi, svolgono lavori pesanti o portano compagnia in quelle lande desolate dello spazio. Alcuni modelli, soprattutto quelli della Rosen sono però indistinguibili dagli umani, e quando, alcuni dei più perfezionati androidi si mettono in testa di evadere allora diventano pericolosi, dunque bisogna cacciarli. Rick ha molti problemi, non solo economici: sua moglie, come quasi tutta la popolazione, è particolarmente dipendente infatti dal modulatore di emozioni, che è in grado di cambiare lumore delle persone che si collegano alla macchina. Per migliorare la propria condizione e possedere un vero animale gli servirebbe un danaroso incarico. Accetta così di mettersi sulle tracce del gruppo di androidi fuggiti dalla colonia. Ma come riconoscerli? Sottoponendo i sospetti umani a un test che utilizza come criterio di discernimento lempatia. La macchina Voigt Kampf serve a questo. Attraverso specifiche domande permette di osservare se avviene la particolare dilatazione dei capillari della pelle o il movimento inconsapevole della pupilla. Gli androidi non possiedono empatia e non possono superare la prova. Ora la caccia agli androidi può cominciare: i “mostri” che pretendono di essere umani devono essere “ritirati”. Molti hanno definito lo scrittore americano una sorta di filosofo. Credo che sia una falsa questione porsi la domanda se Dick lo sia. In generale, sarebbe come tornare alla vecchia questione (risolta) se Leopardi o Dante si possano considerare filosofi. Piuttosto sarebbe importante cercare le radici del suo pensiero in un vasto mare asistematico di pensiero, che va dalla filosofia classica, allellenismo, alla scolastica alle filosofie orientali e alle teologie. Per averne un minimo di contezza basti semplicemente verificare il glossario e lindice posti alla fine dellimmenso (almeno per mole) volume dei suoi scritti sparsi, una sorta di Zibaldone dickiano di oltre milleduecento pagine, a cui è stato dato il titolo de Lesegesi (Fanucci, 2015) per rendersi conto della messe di rimandi filosoficipresenti. Ha scritto Schiller: Perché luomo torni uomo/ stringer deve un patto eterno/ e fedele con la terra/ la pietosa antica madre.

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