Ivan e i suoi fratelli: «Le memorie di Ivan Karamazov» al Piccolo Teatro Grassi di Milano
Intima e spettacolare versione scenica del “caso di Ivan Karamazov”, personaggio incompiuto del grande romanzo di Dostoevskij, che attraverso la recita di Umberto Orsini pretende da un immaginario, kafkiano tribunale, d’essere chiamato “a giudizio”.
Sono 75 minuti di gran teatro, quasi una serata d’onore di Umberto Orsini che attraverso la complessa figura di Ivan Karamazov ne riscrive le “memorie” – con l’aiuto drammaturgico di Luca Micheletti – riconducendole in vari modi, e molto “in trasparenza”, alla sua memoria d’attore che con questo personaggio si è misurato altre due volte: la prima, giovanissimo, per lo sceneggiato televisivo di Sandro Bolchi del 1969, la seconda con lo spettacolo La leggenda del Grande Inquisitore del 2014 con Leonardo Capuano (che curiosamente ha la stessa durata di questo spettacolo al “Piccolo” di Milano, come se il suo rapporto con Dostoevskij fosse regolato da un intimo, segreto, metronomo dell’anima) da cui parte per un ulteriore approfondimento di quei temi come Fede, Mistero, Colpa e Libero arbitrio che sono il filosofico e letterario pensiero connettivo del grande romanzo dostoevskijano I fratelli Karamazov. In questo spettacolo, infatti, si immagina un Ivan Karamazov oltre le pagine del libro perché, diversamente da quanto accade con gli altri personaggi della vicenda, Dostoevskij non ci dice che “fine” abbia fatto: ce lo lascia incompiuto, dimenticato, senza finale, ed è in questo vuoto che si inseriscono Orsini e il suo regista-coautore del testo, in questa assenza o amputazione narrativa, per restituircelo più consapevole e riflessivo su quelle sue azioni che provocarono la condanna dell’incolpevole fratello Dimitrij che aveva aggredito il padre con cui si contendeva la stessa donna, e la conseguente deportazione in Siberia, e soprattutto su quello che ha potuto scatenare il suicidio del fratellastro Smerdjakov, il vero assassino di Fedor, il loro padre. Macigni di colpe da cui Ivan pretende il giudizio di un nuovo Tribunale che si trasforma in un supplemento di indagine sugli atti compiuti e sulle parole dette. Attraverso queste memorie apocrife Ivan si interroga, e si lascia interrogare sulla fatalità del male, sul castigo e sull’immortalità. “E se l’immortalità non esiste, nulla è immorale. (…) Tutto è permesso.” Anche l’omicidio. Parole inquietanti, terribili, che scuotono la coscienza di chi le ascolta, e di chi le ha pronunciate: il fratello Aljoscia, gli si oppone, nel ricordo, con la forza della sua anima religiosa (“Che Dio conceda al tuo cuore di trovare una risposta diversa da questa”), mentre il debole, epilettico Smerdijakov è destinato a soccombere perché traduce in azione questo pensiero filosofico uccidendo l’odiato genitore per poi impiccarsi. Saremmo dalle parti di Simenon, o di Durrenmatt, cioè di una inchiesta processuale che si muove soprattutto dentro la mente di un assassino/cattivo-maestro, teorico istigatore del delitto, se non fosse che a queste memorie di Ivan si sovrappone, come un abito cucito proprio su misura d’interprete, la memoria attorale di Umberto Orsini, protagonista assoluto e acclamatissimo di una memorabile serata teatrale dove la storia di Ivan Karamazov, attraverso impercettibili o visibili sfumature della recitazione, sembra in qualche modo sovrapporsi, fino a farne parte, alla vita professionale di questo grande attore del nostro tempo giunto a 88 anni ad una strabiliante maturità espressiva, mostrandocelo come indelibilmente “segnato” dalla psicologia di questo personaggio che, dagli schermi televisivi, gli dette grandissima popolarità definendone per molti versi lo stile interpretativo e il metodo di lavoro.
E lo si capisce dall’uso della voce, dal respiro, dalla limpidezza e tenebrosa profondità della dizione, dalla secchezza fiati, dalla partitura sonora su cui sostiene e modula il suo “dire”, dai vari toni e dagli scanditi timbri, in perfetto musicale “contrappunto” non soltanto verbale ma anche emotivo, da una intelligenza d’artista che rende semplici i movimenti più complicati, dentro quel paradosso in lui vivente, che tiene unite sensibilità e artificio, mente e cuore: come quando appare in scena un vecchio grammofono che, come nel beckettiano nastro di Krapp, riproduce la vecchia traccia della sua storica interpretazione televisiva. Da un certo momento dello spettacolo, non si segue quasi più la vicenda di Ivan, i suoi tormenti, la sua indagine privata, il titanico scontro col Grande Inquisitore, le angoscianti domande senza risposta, la verità che ci portiamo dentro, o, infine, quel suo riconoscersi nella figura dell’Inquisitore, nella colpevolezza della fragilità dell’uomo. (“L’Inquisitore sono io. Quanto valeva per lui, vale per me”), ma si rimane avvinti dall’ammaliante autoritratto di un attore colto e raffinato, che ha fatto del suo mestiere forse la principale ragione di vita, divenendo nel tempo, anche attraverso questa sua lucida passione per il personaggio di Ivan Karamazov, un mirabile esempio professionale in cui antico e moderno trovano il loro equilibrio perfetto da tramandare alle più giovani e future generazioni di attori. La regia di Luca Micheletti asseconda questa straordinaria “prova d’attore” incastonandola in uno spazio da “teatro dell’Opera” con cromatismi forti e accesi, aiutato dalle scene cupe ed alte ideate da Giacomo Andrico e dai costumi da dramma ibseniano disegnati da Daniele Gelsi, mentre i tagli di luce di Carlo Pediani illuminavano anfratti e sottoscala aumentando la realtà onirica, misteriosa e soprannaturale, da soliloquio alle soglie di un strindberghiano inferno, o da incubo manifesto, dell’intera rappresentazione. Una cascata di applausi va a suggellare alla fine un sold out ampiamente annunciato, ma, come dire, assolutamente sacrosanto.
Le memorie di Ivan Karamazov
dal romanzo I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij
drammaturgia Umberto Orsini e Luca Micheletti
regia di Luca Micheletti
con Umberto Orsini
Scene di Giacomo Andrico
Costumi di Daniele Gelsi
Suono di Alessandro Saviozzi
Luci di Carlo Pediani
Assistente alla regia Francesco Martucci
Produzione Compagnia Umberto Orsini
PICCOLO TEATRO GRASSI – MILANO (in tournée)