LA CASA DELLA GIOIA, romanzo di Enrico Di Stefano, GAeditori.

Dopo essersi dedicato al genere fantastico (Passi nel tempo antologia di racconti fantastici , L’ultimo volo di Guynemer , Ritorno al Frisland , Il vaso di Pandora racconto inserito in “Costituzioni Future) ed essere approdato al romanzo storico nel 2023 con 1939, Enrico Di Stefano, autore siciliano, docente di materie scientifiche, è tornato da poco in libreria con un romanzo di  impostazione storica, La casa della gioia,  GAEditori.

Il titolo allude a una casa chiusa, una di quelle che verranno abolite nel 1958 grazie all’intervento della Senatrice Merlin. Per uscire dall’eufemismo comune, si tratta di un bordello che veniva chiamato così per via della tenutaria, soprannominata Madame Gioia.

Intorno a questo luogo di piacere si intrecciano le vicende di un gruppo di personaggi rispetto ai quali Di Stefano ricostruisce i percorsi personali inserendoli in un affresco generale che riguarda l’Italia, attraverso il microcosmo di Campobasso, negli anni del regime fascista, della Guerra Civile Spagnola, delle leggi razziali.

In un’atmosfera dal sapore vagamente brancatiano, l’autore ci racconta la vita di Margherita, Lena, Sofia, Layla, Dolcina, donne spinte dalla miseria, da violenze subite, da errori personali, da amori falliti a cercare una forma di sopravvivenza all’interno di quella casa, qualcuna rifiutandosi assolutamente di fare il mestiere, altre avvezze a donare il corpo, ma non l’anima. “Dobbiamo aiutarci tra noi perché il Cielo ci ha dimenticate”, questo si dicono cercando di legarsi intorno a un cerchio di solidarietà e mutuo supporto.

Ad affiancare queste donne troviamo nel romanzo una serie di personaggi maschili, frequentatori -ognuno a suo modo- della casa. Ci sono Giovanni e Mariano, qualche federale di passaggio, clienti affezionati.

Il merito, piuttosto raro nella narrativa, dell’operazione di Di Stefano è quello di avere tracciato, con un linguaggio fluido e mai pedante, una linea di racconto storico molto approfondito ma presentato come se fosse solo lo scenario di riferimento ed essersi concentrato proprio sul cuore pulsante che è, appunto, la casa chiusa. C’è un equilibrio perfetto tra spregiudicatezza e pudore.

Nella letteratura ricordiamo esempi illustri di autori che, superando censure moralistiche, hanno raccontato quegli ambienti. Per esempio Alberto Moravia in uno dei Racconti Romani (Addio alle armi), e poi ne La Romana; Goliarda Sapienza nelle Memorie di una maitresse americana, e poi Alberto Bevilacqua col romanzo Le case chiuse. Ma qui l’affresco antropologico e storico è completo di ogni dettaglio e coerentemente inquadrato nel contesto, sia degli eventi storici che delle situazioni psicologiche e sentimentali.

Senza indugiare mai in particolari erotici, senza scadere in nessun tipo di compiacimento voyerstico, l’autore descrive nel dettaglio le pratiche sessuali cui le prostitute erano sottoposte, la preparazione, la stanchezza dovuta a prestazioni estenuanti, le richieste di alcuni clienti, la prepotenza di chi rivestiva cariche prestigiose, l’accudimento della cuoca verso le ragazze… ma con tale grazia e naturalezza da fare apparire tutto come documento.

I protagonisti sono presentati parallelamente con il carico di sofferenze, progetti, paure, smarrimenti che  caratterizza più o meno tutti e compiono un cammino che li porterà a incrociarsi più volte, qualcuno a perdersi, fino un finale aperto alla speranza di fuga, di ricostruzione, di solidarietà.

C’è una forte impronta politica, nel senso migliore del termine, laddove alcuni tasselli storici riguardano la Guerra Civile Spagnola o l’esistenza di un confino per i dissidenti, o il generale clima di delazione, il falso perbenismo della borghesia basato su un patriarcato imperante. Gli uomini e le donne sono tutti vittime di un regime liberticida.

Il titolo del romanzo, in questo senso, prende anche un valore antifrastico perché non c’era vera gioia per nessuno, in quel bordello di Campobasso, per quanto di lusso; non per le “ragazze”, non per la cameriera, non per la cuoca ma nemmeno per i clienti che cercano tra le braccia di meretrici piaceri e amori di ripiego.

In quel luogo “Una galleria di tipi umani che aveva in comune solo lo sfiancante mestiere praticato, ma che copriva una vasta gamma di caratteri e inclinazioni. C’erano le ignoranti e quelle che avevano una discreta istruzione; le malinconiche e le chiassose; le generose e le tirchie; le pettegole e le riservate; le sincere e le bugiarde matricolate; le oneste e le profittatrici; le altruiste e le egoiste.

Nel corso di tutta la storia, l’autore sottolinea spesso come a queste donne fosse riservato un destino inesorabile, col passare degli anni sarebbero invecchiate, passate a bordelli via via più scadenti, irrimediabilmente “perdute”. Invece, Di Stefano, autore e quindi demiurgo, per alcune di esse e per uno dei personaggi maschili ipotizza una soluzione diversa, una vera fuga, proprio dell’anno che precede lo scoppio della Guerra. Un finale di speranza, anche se aperto, per sottolineare la possibilità di un’etica diversa, autentica se legata a sentimenti puri.

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