“La Giara” di Luigi Pirandello, Con Tuccio Musumeci, regia di Giuseppe Dipasquale
Altri interpreti: Angelo Tosto, Filippo Brazzaventre, Pietro Casano, Luciano Fioretto, Claudio Musumeci, Vincenzo Volo, Lucia Portale, Ramona Polizzi, Federica Lucia Guerrieri,
Scenografia Giuseppe Dipasquale, costumi Dora Argento, musiche Matteo Musumeci, percussioni Pietro Scalzo. Una coproduzione Teatro Stabile di Catania e Teatro della Città.
LA SICILIA GIOIOSA E AUTENTICA DI PIRANDELLO
“Io sono figlio del Kaos”, così diceva di sé Luigi Pirandello riferendosi alla contrada di Girgenti dove era nato nel 1867. Quella contrada, quella terra di Sicilia che viveva soltanto dei profitti della terra, del lavoro nei campi, della produzione di vino e di olio, brulla e difficile, piena di contraddizioni, ma nel contempo selvaggia e filosofica, mitica e allegra è per lo scrittore fonte di ispirazione grandissima, soprattutto per le sue Novelle per un anno.
Il caos, però, per lo scrittore/filosofo non era solo il termine con cui si riferiva alla sua terra ma era anche la dimensione gnoseologica nella quale il Novecento si trova catapultato con le nuove teorie scientifiche di Freud, di Bergson, di Einstein. La perdita delle certezze e la forza della presenza del caso determineranno tutta la poetica di Pirandello.
La Giara, che nasce come novella nel 1906, viene poi riscritta come commedia coi dialoghi in dialetto di Girgenti e rappresentata per la prima volta nel 1916; è uno dei testi più conosciuti e amati dal pubblico perché vi si trova concentrata la riflessione dell’autore su profondo senso della vita e sulla presenza di un caso, forza superiore che sembrerebbe mettere ordine al caos.
Le prime forme narrative di Pirandello prendono le mosse dalla letteratura verista, avvicinandosi ai personaggi e alle situazioni narrate da Verga; il personaggio di Don Lolò è un Mazzarò legato alla “roba” che ricorre all’avvocato perché la legge difenda le sue posizioni e la sua proprietà. Ma, come succede nel romanzo L’Esclusa o nel Turno, la fredda e cinica previsione dei fatti umani fallisce puntualmente, perché lo scrittore siciliano non credeva più nella regola della legge del più forte e nella possibilità della rappresentazione di una sola faccia della verità.
In questa grande “pupazzata” che è la vita l’uomo riveste un ruolo e si trova spesso vittima di un disegno troppo più grande di lui per poterlo dominare.
Questo succede ai due protagonisti, antagonisti della novella: Don Lolò e Zi Dima, uno padrone che vuole proteggere la giara, l’altro servitore che la deve riparare ma rimane imprigionato dentro il recipiente rendendolo, così, inutile. Due ragioni a confronto, due personalità che si scontrano.
Zi’ Dima decide di restare chiuso dentro la giara, invita tutti i contadini a fare festa e a godere della vita. Preso da un moto di rabbia, Don Lolò scaraventa giù la giara che si rompe, liberando il povero artigiano senza che si debba pagare nulla.
Per rendere omaggio a una colonna del teatro catanese, siciliano, italiano, che ha appena compiuto novant’anni, Tuccio Musumeci e rivolgere questo omaggio ai cittadini che lo amano e hanno riso con lui per decenni, il Teatro Stabile di Catania, in una coproduzione con il Teatro della Città, in conclusione della stagione teatrale 23/24, ha scelto di mettere in scena La giara nella sede della Corte “Mariella Lo Giudice” del Palazzo della Cultura.
La regia, affidata a Giuseppe Dipasquale, ha evidenziato l’aspetto gioioso della vicenda che è inserita in un contesto di pura esaltazione della vita nella sua forma spontanea e primigenia. I canti, i movimenti coreografici, la fisicità delle contadine che sembrano voler invitare al godimento, anche nella dura fatica del lavoro nei campi, non sono solo cornice narrativa ma parte fondante del messaggio del testo, valorizzato con una impostazione corale e scenicamente armoniosa.