L’universo sconfinato della provincia: «Zagare e segreti» di Enzo Cannizzo

L’universo sconfinato della provincia: «Zagare e segreti» di Enzo Cannizzo

Il rovello esistenziale – o più prosaicamente «il male di vivere» – diventa filosofia quando l’oggetto su cui riflette, pur in apparenza insignificante, si riverbera negli accadimenti generali e vi trova respiro e conferma. Perciò questo «Zagare e segreti» di Enzo Cannizzo, «restauratore di carte antiche e poi libraio» (unico vezzo autobiografico che l’autore siciliano si concede in quarta di copertina), sfuggendo ad ogni classificazione esprime una vera e propria visione del mondo. Micro-racconti spesso in forma aneddotica, sentenze memorabili, prose poetiche, paradossi, piccole storie tristi e felici, cioè normali, da un lontano sempre prossimo all’anima, che sanno della pena e della penna dolceamara di Flaiano, del cupio dissolvi di Cioran, dell’umorismo pirandelliano vivificato da un esprit fou alla Marcello Marchesi e di una concezione del mondo post-contemporanea in cui «il futuro ha i denti marci».

Cannizzo insomma ci consegna una idea di letteratura come atipica storiografia della piega, come resoconto dall’anfratto: ciò che pur non trovando riscontro né simiglianze e vive di inespugnabile individualità ci racconta comunque il mondo; e il Ripellino da «Splendido violino verde» che campeggia in esergo ce ne offre conferma. Attenzione però a non derubricarla come letteratura da intrattenimento. Piuttosto libro che scavalca le mode stagionali, le indicazioni di lettura irritanti e sponsorizzate, i libri non-libri imposti dall’industria. Quelle di «Zagare e segreti» – titolo che, tra fragranze ormai asfissiate dalle discariche e delazioni, cavalca, irridendolo, ogni luogo comune sulla Sicilia e ce ne suscita, di contro, un’inarrestabile nostalgia – sono invece pagine di una densità filosofica mirabile e coraggiosa. Si, perché la parola di Cannizzo va in fondo, trae linfa dalle sue sterminate letture e, tra rettorica e persuasione, sa benissimo quale strada imboccare: quella che la pone di nuovo e finalmente al centro dell’umano, ponendo quindi l’umano al centro di ogni cosa. Lo schermo ambiguo dell’ironia che quasi accarezza ogni pagina è piegato nel tentativo imperterrito e ostinato, di resistere in una terra devastata, nella quale rappresentiamo – a suo stesso dire – «il lato oscuro del mulino bianco». Insomma varrebbe forse la pena vivere, prima della polvere e del silenzio, per scrivere (e leggere) di quella provincia-universo che «Zagare e segreti» squaderna: un’invocazione contro l’oscenità della morte lungo la quale Teresa la pazza, il Tappezziere Scalia, Ninetta, Tano Kojak, la signorina Lorefice, Padre Sgarlata, Turi giapponese e Peppe Bacetto e tutti gli altri splendenti vinti del libro, spesso nominati solo col «peccu» (il soprannome) – unico, formidabile segno di riconoscimento sociale – diventano incarnazioni inimitabili e assolute ma intimamente e fraternamente nostre. E che quel genius loci di Ciccio Petrarca (sic), unico personaggio che si presenta in prima persona e nel quale non è difficile scorgere l’alter-ego dello stesso Cannizzo, ci offre nella dubbiosa e amabile certezza che «vivere non è difficile: basta distrarsi». Magari scrivendo poesie.

Enzo Cannizzo, «Zagare e segreti», Ensemble, Roma, 2024, euro 15,00

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