Norma di Vincenzo Bellini al Teatro Massimo Bellini di Catania

Direttore d’orchestra Maestro Leonardo Sini, regia di Hugo De Ana, allestimento del Sofia Opera and Ballet House. Nel cast vocale alcuni protagonisti d’eccezione: Irina Lungu, Antonio Poli, Elisa Balbo, Carlo Lepore, Anna Malavasi.

Orchestra e coro del Teatro Massimo Bellini di Catania.

Il 18 gennaio scorso ha preso il via la stagione di lirica e balletti 24/25 del Teatro Massimo Bellini di Catania.

L’inaugurazione, sontuosa e solenne, in presenza del Sindaco, Avvocato Enrico Trantino che è anche Presidente dell’Ente lirico, di alte cariche dello Stato, come il Vice Premier, Ministro degli Esteri, Antonio Tajani, il Presidente dell’ARS, Gaetano Galvagno, il Prefetto Maria Carmela Librizzi, l’onorevole Maurizio Gasparri, accolti nel Palco Reale dal Sovrintendente, è avvenuta con l’opera più amata dai catanesi, che l’attendevano da anni: Norma.

Nel 2025 cade il centonovantesimo anniversario della morte di Vincenzo Bellini e aprire la stagione con il capolavoro, il titolo iconico e più amato del Cigno catanese- con il quale si inaugurò il teatro progettato da Carlo Sada nel 1890- segna una scelta significativa dell’omaggio al grande musicista e un inizio del progetto del Direttore Artistico Fabrizio Maria Carminati che d’ora in poi intende inserire un’opera di Bellini in cartellone ogni anno. Scelta opportuna, quasi doverosa e attesa dal pubblico catanese.

La direzione d’orchestra affidata a Leonardi Sini e la regia di Hugo de Ana (come pure la scenografia e i costumi), hanno consentito l’allestimento del Sofia Opera and Ballet House.

Il filosofo dell’Ottocento che più di ogni altro ha esaltato la musica, Arthur Schopenhauer in una pagina del Mondo come volontà e rappresentazione si espresse in modo molto lusinghiero nei confronti della Norma di Bellini e la definì “un’esemplare tragedia lirica”.

Quando Vincenzo Bellini, (Nzudduzzu per i Catanesi affezionati al loro Cigno) cominciò a musicare il libretto che Felice Romani aveva tratto dal dramma Alexandre Soumet, era già un musicista noto e poteva ormai comporre per i migliori interpreti dell’epoca, fra i quali il soprano Giuditta Pasta che aveva interpretato Sonnambula. Era il 1831 e, da allora, l’opera divenne una fra le più amate.

Ambientata nella Gallia dell’epoca romana, racconta di amore e gelosia, patriottismo e schiavitù, guerra e pace, maternità e dovere.

Il personaggio di Norma è, aveva ragione Schopenhauer, una eroina tragica, in perenne conflitto con la fedeltà al suo popolo, che guida alla ribellione in quanto sacerdotessa dei druidi, innamorata di Pollione, proconsole romano che la ama ma è invaghito di Adalgisa. Da qui la gelosia e la voglia di vendetta di Norma e, sul finale, la necessità del sacrificio personale che abbia un valore espiatorio e solenne. Lei si denuncia al suo popolo e si auto condanna al rogo insieme al nemico romano dopo avere affidato i figlioletti “innocenti” al suo stesso padre.

Per il mondo intero Norma significa “Casta Diva”, l’aria dolcissima con cui la sacerdotessa inneggia alla luna che “inargenti queste sacre antiche piante”. Giuseppe Verdi, qualche anno dopo, a proposito di queste e di altri momenti della musica di Bellini, parlerà delle “melodie lunghe, lunghe, lunghe”. Troviamo qui una singolare sintonia fra la voce del soprano (e Bellini sapeva di poter contare sulla Pasta) in dialogo con gli strumenti -flauti, clarinetti, oboi, arpe e archi- che diventano altre voci, e l’assetto totale dell’orchestra. La melodia infinita, molto nota e molto citata in varie situazioni comunicative, è evocativa, romantica, sacra e delicata al contempo, si innalza lentamente verso l’apice sul termine “sembiante” i cui acuti ripetono un’ottava sopra le due note di apertura dell’aria, per questo richiede una modulazione della voce ampia e flessibile alle fioriture amate e temute dalle cantanti di tutti i tempi. Indimenticabile, quasi superfluo dirlo, l’esecuzione della Callas, la divina Maria che, nell’immaginario comune, è diventata la vera Norma.

Ma l’infinita bellezza di quest’opera non si esaurisce con Casta Diva. Delicati e vibranti i due duetti fra Norma e Adalgisa (primo atto e secondo atto), il duetto con Pollione quasi sul finale Qual cor tradisti, potentissimo il coro dei Galli che incitano alla Guerra; terribile e tragica l’ultima preghiera che la donna, ormai condannata, rivolge al padre “deh non volerli vittime”.

Quando Richard Wagner diresse l’opera negli anni del suo apprendistato a Riga (1838), disse “Norma, tra tutte le creazioni di Bellini, è quella più ricca di vera melodia unita, con profondo realismo, alla passione intima.” Per queste ragioni i catanesi amano così tanto il capolavoro del loro conterraneo, di quel musicista che ha dato e darà sempre lustro alla città, e, per questo, era così attesa la rappresentazione in questa apertura di stagione.

Non sono rimasti delusi gli spettatori accorsi numerosissimi alla prima -durante l’intervallo il foyer era affollatissimo come non mai- da questo allestimento del Sofia Opera and Ballet House.

E’ doveroso cominciare a parlare del soprano, la russa Irina Lungu che, dopo lunghi studi e altri ruoli belliniani, ha debuttato nel difficile e iconico personaggio della protagonista. Ed è stato un debutto che le ha reso onore. Ha dimostrato perizia tecnica ma anche una personale modulazione vocale non soltanto nella celebre romanza ma anche negli altri passaggi complessi, senza cedere a virtuosismi. Altrettanto calibrata è apparsa la voce di Elisa Balbo nel ruolo di Adalgisa. Proprio nei duetti le due voci femminili si sono equilibrate e raggiunte con forza e grazia. Il tenore, Antonio Poli, al suo debutto a Catania ma già in Pollione al Macerata Opera Festival, per quanto giovane ha dato prova di saper interpretare il passaggio, voluto da Bellini, tra una chiave drammatica e una “belcantista”.

Le loro voci, così come pure quella del basso, Carlo Lepore, sono state guidate e sostenute, nel continuo dialogo che il Cigno ha concertato nelle arie, nei cori, nei duetti, dalla direzione d’orchestra del giovanissimo -e va detto perché è un valore aggiunto- Leonardo Sini. L’orchestra del Teatro Massimo Bellini e il Coro, diretto dal Maestro Petrozziello, hanno, ancora una volta, dimostrato un valore altissimo fatto di professionalità e passione.

Sulle scelte della regia curata, insieme a scene e costumi, da Hugo de Ana alcune perplessità sono da sottolineare. Comprendiamo la volontà di attualizzare la dimensione narrativa della vicenda (per quanto il messaggio del Melodramma sia universale sempre, in quanto basato sui sentimenti). Ma è necessario fare delle scelte coerenti. Il riferimento all’età del Neoclassicismo lo interpretiamo come ulteriore elemento per rendere omaggio al musicista catanese e alla sua epoca, la citazione esplicita a Napoleone con l’immagine del celebre quadro di David, può ricordare l’imperialismo di altri momenti della storia e di altri oppressori. Tutto questo coincide con una scenografia che sacrifica la “sacra selva” per lasciare spazio ad un tempio che poco ha a che fare con quello di Irminsul, ma rimanda alla memoria i basamenti dell’Ara Pacis di Roma e con costumi di piena epoca napoleonica che, nella componente maschile del coro e del tenore e del basso, mescolano elmi e corazze metalliche e divise e pastrani ottocenteschi. Si rimane disorientati dall’insieme di elementi che vorrebbero suggerire ma lasciano incompleto, perché complesso, il messaggio.

Abbiamo gioito degli applausi del pubblico tributati soprattutto a lei Norma, Irina Lungu, che li ha meritati tutti e ci ha commosso, così come voleva Bellini che in una lettera a Donizetti scrisse: “Il dramma per musica deve far piangere, inorridire, morire cantando”.

 

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