PERDIFIATO, storia di una donna “libera, ribelle e felice”

Il secondo spettacolo della XII rassegna di Palco OFF, Perdifiato, è andato in scena presso il Centro Culturale Contemporaneo Zo di Catania il 30 novembre e il primo dicembre.

Il testo, già presentato e premiato durante il Fringe Festival 2023, scritto e interpretato da Michele Vargiu, con la regia di Laura Garau (produzione Vaga),  racconta la storia di Alfonsina Morini Strada, la prima donna ciclista a partecipare al Giro d’Italia.

Nata nel 1891 in una  contrada nella pianura bolognese, la piccola Alfonsina si appassiona, lentamente, alla bicicletta e alle gare che, nell’Italia poverissima dei primi anni del Novecento, si svolgevano sulle strade sterrate della provincia ma che erano ambito esclusivo degli uomini e, anche per gli uomini, venivano considerate un’attività da briganti e morti di fame.

Alfonsina sfida tutti i pregiudizi, le regole e le convenzioni. Sfida i genitori che le si oppongono nettamente fino a quando lei, ragazza con la gonna annodata per salire in sella, vince una gara e porta a casa un maiale, con il quale sfamerà la famiglia. Da quel momento comincia ad allenarsi seriamente, con buona pace di Don Alfonso, che la chiamava “il diavolo in gonnella”, dei decreti di Pio X e di Cesare Lombroso che aveva scritto un saggio sul legame tra ciclismo e delitto.

La “ciclista contadina” colleziona vittoria dopo vittoria, con passione, sacrificio, forza di gambe e determinazione. Si ferma durante la guerra, la Grande Guerra, come si ferma l’Italia, torna a fare la sarta, cerca di sopravvivere col pensiero, sempre, alle corse in bici. Finita la Guerra il Paese si risveglia e, nel 1924, la Gazzetta dello Sport organizza un nuovo Giro d’Italia al quale non partecipano i grandi campioni ma ciclisti di provincia, come lei, Alfonsina, che all’inizio non vogliono nemmeno iscrivere perché donna. Al Giro deve combattere contro la fatica, le tappe lunghissime, le salite impervie, i guasti alla sua bici, le maldicenze e l’aria di sufficienza con cui la trattano i ciclisti uomini, ma la folla la ama, l’aspetta ad ogni traguardo, esulta per lei. Così Alfonsina vince. Non il giro, ma se stessa e tutti gli ostacoli, vince una battaglia non contro i chilometri o il sudore, le gambe e la fatica, ma contro un dettame di genere che viene scardinato, un piccolo tassello nel complesso e mai concluso percorso verso il riscatto delle donne.

La pièce -che rientra in una trilogia dedicata dall’autore e dalla regista  a storie di sport- ha il pregio, grande, di raccontarci lo sport come metafora di vita e di lasciare un messaggio di positività e determinazione per chiunque abbia un sogno, un obiettivo da raggiungere nella vita. Il messaggio arriva dritto e potente grazie all’incisività del testo e alla coinvolgente interpretazione di Michele Vargiu.

Inserendosi nella tradizione del teatro di narrazione, Vargiu si muove nello spazio scenico vuoto ma lo riempie con una mimica vivace, portando con sè molti personaggi insieme ad  Alfonsina, e sorprendendo il pubblico, lui sardo, con una perfetta cadenza romagnola.

Il ritmo del testo diventa il ritmo della narrazione e dell’interpretazione, dello sguardo e della voce, della gestualità di un attore/autore che crede in quello che sta raccontando e punta dritto al cuore dello spettatore.

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