Vetrano e Randisi incontrano Theodoros Terzopulos sulla scena di Beckett: “Aspettando Godot” al Bellini di Napoli

Un sepolcro: questa è la prima immagine che si manifesta nella mente degli spettatori.
Le scene costruite nel Laboratorio di Scenotecnica di ERT e la regia del greco Terzopoulos creano la magia della messinscena del testo di Beckett, Aspettando Godot, manifesto del Teatro dell’Assurdo, contenitore e scrigno di tematiche ancora oggi attuali.Testo profetico sull’umanità, sul rapporto tra uomo, Dio e il potere, inteso attraverso molteplici sfaccettature filosofiche e antropologiche, questo capolavoro presenta Vladimiro ed Estragone splendidamente interpretati dagli attori siciliani Enzo Vetrano e Stefano Randisi. Acclamati portavoce degli straordinari personaggi creati dalla penna di Franco Scaldati, in questa occasione, come in altre, Vetrano e Randisi riversano l’onirica e grottesca immaginazione del drammaturgo siciliano sulla scena beckettiana, caricando i protagonisti di quelle caratterizzazioni che tutti abbiamo sempre immaginato. Lo spettacolo, prodotto da Emilia Romagna Teatro ERT/Teatro Nazionale, Fondazione Teatro di Napoli-Teatro Bellini, in scena a Napoli dal 24 febbraio al 5 marzo presso il Teatro Bellini, sembra stuzzicare la reazione del pubblico. È necessario non solo soffermarsi sulla fruizione del testo fonte, ma è indispensabile comprendere come un capolavoro scaturito da precise motivazioni storiche, sociali e culturali, possa evolvere anche nella contemporaneità. Lo studio dei testi classici, anche quelli prettamente teatrali, permette a registi e interpreti di riproporli in una veste che non pervenga necessariamente ad un tradimento o ad una decostruzione dell’originale; in questo caso il regista è riuscito a cogliere quanto di profetico era tessuto nelle maglie del testo beckettiano, ancora oggi attuale. La scena aperta vede l’ingresso degli attori dietro una struttura a forma di parallelepipedo caratterizzato da una croce centrale: la croce si ripresenterà nel corso del racconto scenico e la struttura descritta ricorderà un vero e proprio sarcofago. Le parti di questo “armadio-sarcofago” sono mobili, si aprono trasformando la struttura in altare, in cripta, in porta del tempo, in pala d’altare. Il palcoscenico è utilizzato solo in parte e nell’ampio spazio vuoto e scuro è posizionato un piccolo vaso: l’ambientazione scarna e simbolica scelta da Beckett qui si riduce ad uno pseudo alberello piantato in un vasetto, in realtà una sorta di salice piangente costituito da cera sciolta, consumata, illuminato da un fascetto di luce che fa emergere questo piccolo oggetto davanti al grande parallelepipedo nero e nella profondità del palcoscenico per lo più vuoto. Quel ramoscello di cui si parla nel testo e che forse albero non è. Gli spettatori sono accolti da rumori in sottofondo, sirene e urla che ricordano l’apertura di Bros di Romeo Castellucci, ma con un’intensità e una durata sonora effettivamente minori, memori di rumori di guerra e di distruzione. Le urla, quindi, citate nel testo, sono rappresentate da boati di bombe in sottofondo. I personaggi non riescono a toccarsi, non interagiscono fisicamente come previsto nel testo originale, tranne i due protagonisti, perché tutti collocati su piani differenti del parallelepipedo: non a caso Vladimiro ed Estragone, che rappresentano l’umanità, rimangono fissi sul piano medio, Pozzo si erge sul piano più alto, sbucando attraverso uno squarcio da una tela-fondale che lo inghiotte al momento della sparizione, come un Dio burbero, ma cieco appunto, che comanda e frusta; Lucky emerge inizialmente dalla testa, “infossato” in una buca-baratro dove si muove come una marionetta-automa eseguendo i comandi di Pozzo, il quale, però non lo lega, non lo tocca, ma ordina. Nel testo originale, infatti, i due sono legati attraverso l’oggetto simbolico della corda, simbolo di un rapporto di potere e di sottomissione connaturato nell’immagine della divinità novecentesca, parallelo al concetto di potere ossessivo e totalitario. L’apparizione del Ragazzo, il Messia fatto uomo, non a caso avviene attraverso una croce bianca, che scende dall’alto, che si pone davanti a Pozzo-Dio, che si interseca all’interno del parallelepipedo e che divide Vladimiro ed Estragone. Il volto del Ragazzo è incorniciato all’interno della croce, profezia della fine della rivelazione sacro-umana della religione, in un susseguirsi di botta e risposta tra i due protagonisti e il ragazzo crocifisso, il quale ripete ossessivamente, nelle sue risposte, “Sissignore”, obbedendo al Dio padre. La violenza sembra affiorare continuamente, sottoforma di parola, di rivoli di sangue sui corpi dei personaggi, quasi carne da macello massacrata in mattatoio, ma anche attraverso il pugnale, il coltello, rappresentato insistentemente. Così come le scarpe, che i personaggi, a differenza del testo originale, non indossano mai, ma sono appese al collo o invisibili, costringendo tutti gli attori a recitare scalzi. La scarpa rossa femminile, scelta inedita del regista, è nelle mani dei nostri protagonisti e il suo colore spicca violentemente all’interno di un contesto luministico opaco e dalle coloriture sommesse.Vladimiro ed Estragone cominciano il loro racconto e si interrogano su Godot, rimanendo bloccati sul piano in cui sono collocati: i personaggi provano ad alzarsi, ma la loro interpretazione li costringe a stendersi, a piegarsi in avanti, a recitare coricati su un fianco. Si aspetta Godot, attendono e sperano di avere la capacità di alzarsi da soli, liberandosi dall’imposizione dall’alto, sia essa religiosa che politica. Nel primo atto, si contorcono su sè stessi, slacciandosi l’uno dall’altro come se fossero invischiati in unica matassa corporea, per poi apparire, nel secondo atto, divisi e indipendenti nei movimenti, seguendo l’idea di un allontanamento dell’uno dall’alto, come insinuava Beckett nella loro conversazione. Lucky appare nella zona più bassa del parallelepipedo: esce insanguinato ed ansimante dal sepolcro serrato, avanza barcollante e tremante verso il centro del palcoscenico, si accascia, rimane con gli occhi serrati e la bocca aperta, ricorda una statua di un Santo insanguinato, sbava continuamente, si contorce, recita, sembra chiedersi perché, sembra massacrato dal mondo, da tutto quello in cui si sperava e che è accaduto al contrario. Un giovane e straordinario Giulio Germano Cervi che meriterebbe davvero un premio per questa interpretazione. Eccellenti tutti gli attori della compagnia che grazie all’accurata e colta regia, attraverso le scene elegantissime e cinematografiche, lasciano il segno con uno spettacolo che si è evoluto secondo i tempi, ma non ha tradito il messaggio dell’autore.  L’ultima scena si svolge nella tradizionale chiusura di Vladimiro ed Estragone, ancora lì, in quella parte mediana dell’altare-parallelepipedo-sarcofago che appare, adesso, come un teatrino delle marionette dal boccascena stretto e sottile. Immobili si contorcono interrogandosi su Godot e su di sé, dentro corpi ed abiti marcescenti, rassegnati ad una chiusura. Così si richiude su sé stesso anche il parallelepipedo, inghiottendo l’ultimo spiraglio di luce che aveva già inghiottito il nostro Lucky nelle viscere della tomba-sarcofago. Si chiude il discorso circolare che, in effetti, mai chiuso sarà, mentre i due ridono sin dall’inizio dello spettacolo, il riso grottesco, esasperato, disperato, simbolo di sopravvivenza.L’ultima fioca luce emerge attraverso una vera e propria dissolvenza cinematografica: il parallelepipedo chiude lo spazio in cui sono da sempre collocati Vladimiro ed Estragone. Una chiusura dall’alto e dal basso, fino a ridurre al lumicino la luce. Lunghissimi applausi hanno richiamato più volte in scena tutta la compagnia, acclamata soprattutto dal pubblico più giovane, dalla quale emergono, oltre all’esperienza della triade Vetrano-Randisi-Musio, la straordinaria bravura dei più giovani Cervi e Ancarola.

(Foto di Johanna Weber)

Teatro Bellini Napoli
24 febbraio-5 marzo 2023

ASPETTANDO GODOT
di Samuel Beckett

copyright Editions de Minuit
traduzione Carlo Fruttero
regia, scene, luci e costumi Theodoros Terzopoulos
con (in o.a) Paolo Musio, Stefano Randisi, Enzo Vetrano
e Giulio Germano Cervi, Rocco Ancarola

musiche originali Panayiotis Velianitis
consulenza drammaturgica e assistenza alla regia Michalis Traitsis
training attoriale – Metodo Terzopoulos Giulio Germano Cervi
produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
in collaborazione con Attis Theatre Company

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