UN’ALTRA SALOME’, al Teatro del Canovaccio di Catania dal 30 maggio al 2 giugno. da Oscar Wilde

con: Egle Doria, Francesco Bernava, Giorgia Boscarino e Luana Toscano, Regia e adattamento: Saro Minardi, Aiuto regia: Gabriella Caltabiano

Scenografia e costumi: Vincenzo La Mendola, Sartoria: Grazia Cassetti

Produzione: Madè

Bacerò la tua bocca, Iokanaan; bacerò la tua bocca”

Si è conclusa la stagione del Teatro del Canovaccio che quest’anno ha proposto la rassegna REAZIONI, con lo spettacolo Un’altra Salomè, una rilettura a cura di Saro Minardi in chiave a tratti surrealisti a tratti spregiudicati, decisamente attualizzati.

Ispirandosi al gusto estetizzante e orientaleggiante fin de siécle , Oscar Wilde scrisse l’opera (1891) Salomè in francese e l’uso di questa lingua diede all’opera un taglio di maggiore immediatezza e ingenuità. Il personaggio di Salomè, affascinante e lugubre, fu ideato per Sarah Bernhardt che avrebbe così impersonato la donna fatale come la vedevano i decadenti.

Le fonti bibliche, soprattutto i Vangeli (Matteo e Marco), parlano del personaggio della bella figliastra di Erodiade, della quale il Tetrarca Erode era fortemente invaghito; per questo la spinge a ballare per lui e le giura di darle, in cambio, tutto quello che la fanciulla avrebbe preteso.

“…La figlia di Erodìade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode che egli le promise con giuramento di darle tutto quello che avesse domandato. Ed essa, istigata dalla madre, disse: “Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista…“ (Matteo, 14,6-8)

Il binomio amore e morte era già ideato nel mito biblico, Wilde trovò facile materia per il suo atto unico dominato dalla passione, così focosa, così impellente da travolgere tutto: destini, poteri, vite. Salomè ha incontrato il profeta Iokanaan, rinchiuso nelle carceri del palazzo di Erode e se ne è innamorata, follemente. Lo desidera. Desidera i suoi baci, i suoi capelli, il suo corpo. Il profeta l’ha rifiutata perché in preda alla lussuria e peccaminosa come la madre, come tutta la dinastia.

Da ciò si scatena la rabbia di Salomè che si tramuta in odio, al punto da pretendere la sua testa servita su un vassoio d’argento. Erode, sedotto e folle di gelosia, alla fine cede e gliela porge, così che lei possa baciare quella bocca desiderata e succhiare il suo sangue.

Come in una tragedia greca, uno scontro di civiltà e culture, di religioni e superstizioni, sta alla base del conflitto tra personaggi. Ebrei ed arabi sono riuniti a banchetto all’inizio della vicenda ed Erode elogia le tradizioni romane, esalta Cesare e una religione che venera molti dei, visibili dagli uomini, mentre il dio dei giudei non è visibile.

L’altra Salomè di Saro Minardi ha colto questi aspetti universali e, costruendo una versione dove la modernità -dei costumi, delle scene, delle musiche- attraverso l’elemento straniante, mette in evidenza alcuni aspetti e ne ha fatto detonare la potenza (salta agli occhi il particolare delle bandiere che circondano la sala del banchetto, in testa a tutte quella israeliana).

Primo fra tutti l’erotismo che come una febbre si impossessa di Salomè e di Erode. E’ una forma di desiderio perenne, speculare al bisogno di affermazione del proprio potere e capriccio personale. La principessa sbatte i piedi e afferma la sua pretesa come atto necessario; quanto sia infantile la sua richiesta viene qui sottolineato da una scelta di regia dal carattere emblematico: Salomè controbatte ad Erode che gli offre tutto il suo regno,  con un lecca lecca in bocca, che succhia con fare seducente davanti e sottolinea, così, la cifra del suo gioco.

Un gioco crudele che richiede vendetta.

L’altro aspetto di riflessione di questo allestimento riguarda le dinamiche del potere che, allora come adesso, si dimostra sempre scisso dalla realtà, senza nessuna concretezza ma chiuso in se stesso, in un cumulo di privilegi e di isolamento che portano alla solitudine e alla infelicità. In un contesto di corruzione morale, in rapporti degeneri, Erode e Salomè, ed Erodiade accanto a loro, sono l’espressione di una continua ricerca di affermazione e felicità.

Lo strumento più rapido ed appagante è l’erotismo (cifra costante di Wilde) che cerca di sostituire l’amore ma invano. Il capriccio si risolve in tragedia, una doppia tragedia perché la gelosia di Erode decreterà la morte di Salomè, non per mano di sicari coi loro scudi (così nel testo originale) ma per mano dello stesso Tetrarca, accecato, folle, brutale. In un finale di straordinaria potenza visiva ed erotica, si compie il “femminicidio” e trionfa la morte.

La riuscita di questa rappresentazione, originale e assolutamente personale, è evidentemente affidata all’affiatamento, alla presenza scenica, alla esuberanza dei due protagonisti: Egle Doria è una Salomè voluttuosa e ammiccante che sa far uso della bellezza e ne fa arma di incanto e disincanto. Usa il suo corpo e la sua voce, dai toni caldi e profondi, per passare dall’amore alla rabbia, dal desiderio, al capriccio infantile, alla noia. Fascino naturale e sapienza artistica.

Francesco Bernava ha costruito un Erode in parte dandy in parte macho, malinconico e triste, sognatore ma costretto dal suo ruolo ad apparire felice, potente ma disposto a perdere tutto per la passione, per un peccato incestuoso che lo ossessiona. L’ossessione e la frustrazione sono nei gesti e nella voce di un attore che, in questa ultima stagione teatrale, è passato da personaggi tanto diversi ed è sempre uscito dalla maschera per rendere ogni ruolo suo e suo soltanto.

Accanto a loro, in dialogo costante come a fare da specchio, da contraltare ai caratteri principali, Luana Toscano e Giorgia Boscarino.

La costruzione complessiva della regia è rivoluzionaria ed armonica al contempo, con affetti psichedelici su musiche pop, un uso cromatico, dato dai costumi, dal trucco, dagli effetti di luce, che accompagna i risvolti della vicenda realizzando uno spettacolo completo dove la parola è accompagnata da tutte le strategie che il teatro in quanto arte permette.

Una conclusione di stagione di grande effetto e grande spessore culturale.

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