SERVO DI SCENA di Ronald Harwood, traduzione Masolino D’Amico, al Teatro stabile di Catania,
regia Guglielmo Ferro
con Geppy Gleijeses, Maurizio Micheli, Lucia Poli
e con Roberta Lucca, Elisabetta Mirra, Agostino Pannone, Antonio Sarasso
produzione Gitiesse Artisti Riuniti e Teatro Stabile di Catania
“Vedevo quel vecchio e quel vecchio ero io”
Immaginare un teatro sotto i bombardamenti nel 1979, quando la Seconda Guerra Mondiale era da tempo finita, e raccontare di un uomo, un attore anziano che vive uno shock sotto le bombe e ha una crisi di nervi, e da questo fare nascere una delle più interessanti commedie del teatro contemporaneo. Questo ha fatto Ronald Harwood –commediografo e sceneggiatore britannico- quando scrisse il testo di Servo di scena.
Oggi quel testo viene rappresentato al Teatro Stabile di Catania, con la regia di Guglielmo Ferro, per ricordare il padre, il grandissimo Turi Ferro (si concludono così le celebrazioni in suo onore iniziate nel 2021) che questa pièce portò in scena nel 1992.
E assistere a questo spettacolo in una sera di marzo, nel 2022, in questi orrendi giorni di guerra, è un’emozione forte. Perché un teatro bombardato non è più soltanto memoria storica, ma atroce realtà, se pensiamo a quello di Mariupol, in Ucraina, che è stato colpito pur essendo un luogo di pace, di protezione, di bellezza che stava dando rifugio a civili in fuga.
Il testo racconta il declino di due uomini, Sir e Norman, il suo servo di scena, entrambi anziani, stanchi, ma attaccati al loro mestiere e al loro ruolo. Due protagonisti antagonisti ma complementari che si confrontano e si consolano, si scontrano e si sostengono nel languore di un momento terminale della vita e del loro legame.
Il tema centrale scaturisce dal luogo in cui la vicenda si svolge, un luogo che per tutti i personaggi è profonda identità, essenza: il teatro.
Sir è un attore dalla lunga carriera. Ha recitato tutti i ruoli dei capolavori di Shakespeare se li porta dentro ad uno ad uno, ora che è vecchio e fa i conti con questa verità. “Vedevo quel vecchio e quel vecchio ero io”
Norman è il suo fedele inserviente, lo veste, lo prepara, lo aiuta a ripassare, lo accudisce, ogni sera in ogni rappresentazione e gli è terribilmente affezionato.
Un giorno, forse a causa dei bombardamenti, forse per una crisi di nervi, Sir sta male e, dopo un breve ricovero, si ostina ad andare in scena, a non annullare lo spettacolo previsto: Re Lear. Ma non ricorda più le battute, confonde i personaggi, si trucca da Otello, si smarrisce. In questo gli è fondamentale l’aiuto e il supporto, proprio fisico, di Norman che lo incoraggia sperando di avere in cambio solo un po’ di riconoscenza. “Come incomincia la commedia?” gli chiede continuamente Sir e Norman, pronto e sicuro, suggerisce e lo veste.
L’attore, il ruolo, le battute, l’uomo, la finzione. Questi motivi sono centrali nella pièce; mentre il mondo sta naufragando, l’attore recita la bellezza e alimenta per sé e per il pubblico “l’incrollabilità della speranza” che è propria dell’uomo. E’ Re Lear che si porta in scena quella sera, l’ultima sera, la tragedia di un re solo, di un uomo titanico che diventa piccolo e spezzato dal dolore.
Sul palco dello Stabile di Catania abbiamo visto una magnifica compagnia. Nei panni di Sir Geppy Gleijeses (vincitore del Premio Lorenzo de’ Medici come miglior attore europeo), ha avuto l’onore e l’onere di rivestire i panni che erano stati di Turi Ferro e lo fa in maniera egregia. In alcuni momenti riesce a somigliargli sorprendentemente, pur mantenendo una autonomia nell’interpretazione che è a tratti ironica, fino alla comicità, a tratti malinconica fino alla commozione.
Maurizio Micheli è un Norman delizioso: leggermente macchiettistico quando serve, solidale e tenero con il suo “padrone”, deluso e amareggiato nel finale.
Insieme a loro, che dimostrano un sodalizio direi perfetto, Lucia Poli, nel ruolo di Milady, la moglie di Sir, con tutta la sua grazia, l’equilibrio di una lunga carriera alle spalle, un’eleganza innata che regala allo spettacolo.
Un omaggio al teatro, al grande Turi Ferro, alla vita e alla speranza. Perché “In teatro anche il dolore più grande diventa tollerabile (…) e il teatro non è un posto per morire.”
LOREDANA PITINO