TERAS, TIRESIA al Teatro del Canovaccio

E’ in scena in queste sere al Teatro del Canovaccio, in apertura della rassegna ATTRAVERSO, un monologo scritto e diretto da Valeria La Bua insieme a Davide A. Toscano dal titolo Teras, Tiresia, per una produzione Bottegga del Pane. (luci di Davide A. Toscano e Simone Raimondo, sartoria Grazia Cassetti, voci fuori campo Cinzia Maccagnano, Valeria La bua, Davide A. Toscano)

In scena un’attrice in stato di grazia, potente ed ironica, che dimostra grande preparazione atletica e una decisa convinzione rispetto al testo: Rita Fuoco Salonia.

L’idea di base dell’autrice è quella di portare in vita, proprio riesumare dal mondo dei morti, l’indovino Tiresia che dall’antichità del mito si presenta a noi per raccontarci la sua storia e per interrogarci su uno dei temi più universali: l’identità e il potere. Tiresia è uomo e donna, cieco e indovino e per questa sua doppia natura può essere presentato in chiave simbolica.

Ci racconta della sua città, Tebe, delle origini che risalgono al più antico dei miti, quello di Cadmo che sconfigge il drago e dà inizio alla dinastia. Ci racconta della sua nascita, insieme al fratello gemello nato mostro (Teras) e di lui, nato prodigio (Tiresia). Ci racconta di Narciso che trovò la morte per essersi innamorato di se stesso. E ci racconta la tremenda vicenda (nota al pubblico grazie alla tragedia di Euripide) della città di Tebe invasa dalle Baccanti perché Dioniso pretende che vengano svolti i riti in suo onore, di Semele e di Penteo.

La costruzione narrativa che Valeria La Bua ha saputo creare è epica e nello stesso tempo grottesca. Il linguaggio, volutamente, mescola registri totalmente distanti, da quello della poesia, a quello della tragedia, a quello delle parlate popolari, con inserti in dialetto (che la lieve inflessione palermitana dell’attrice colorisce di effetti comici) a quello non verbale.

Rita Fuoco Salonia, infatti, è capace di recitare col corpo, pur presentandosi in scena con un completo nero, apparentemente neutro, quasi androgino. Lei si muove e articola corpo e voce con ritmo e perfetta specularità tra le parole dette e le parole non dette, tra accento femminile e maschile. Ci fa rivivere la scena della sua nascita imitando il parto della madre e così pure tutto il dramma di dover vivere, per il suo potere vaticinante, i drammi degli altri sulla sua pelle. “La conoscenza del futuro, come quella del passato, è una disgrazia”

In un’ora di monologo tiene avvinto il pubblico con enfasi tragica e coinvolgendolo direttamente. Perché “siamo noi a rivolgere le domande all’indovino. Siamo noi a volere raccontata la sua storia. Siamo noi a voler essere ingannati da Tiresia… la visione del futuro, invece, disattende le speranze. Perché non c’è niente di più osceno di dire la verità” (note di regia)

Lo spettacolo resterà in scena il 9 e 10 del mese.

 

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